Lezione 1: IL SISTEMA SOLARE

Questo corso di Astronomia si propone di presentare una panoramica generale dell’universo partendo innanzitutto dai dati osservativi di cui oggi si dispone. Siccome poi oltre che osservare, si vorrebbe anche cercare di capire, verranno affrontate le attuali idee sull'origine dei pianeti, la teoria dell’evoluzione stellare e della formazione delle galassie. Quando possibile, non si trascureranno pure quelli aspetti pratici o osservativi che fanno dell’astronomia una scienza alla portata anche dell’appassionato: infine si tenterà (spero!) di rispondere alle diverse domande che potranno via via sorgere.

Nella trattazione non verranno sfruttate nozioni matematiche particolarmente impegnative e i fenomeni fisici non elementari verranno introdotti tramite spiegazioni intuitive possibilmente basate sull'esperienza quotidiana di ciascuno. Le poche espressioni matematiche proposte saranno solo di contorno e comunque di livello comprensibile a studenti di scuola superiore. Come supporto all’esposizione ci si servirà di diverse diapositive e lucidi. In definitiva, si vuole simpaticamente smentire il noto detto latino “Per aspera ad astra” .( Tradotto: “attraverso le asperità si arriva alle stelle” cioè, la via della conoscenza passa per le difficoltà.)

Argomenti di questo incontro incentrato sul sistema solare saranno:

Infine, per ricondurre tutti questi elementi entro un quadro di riferimento unitario, si discuterà dell’origine del sistema solare. Accenneremo quindi a come appaiono i pianeti attraverso un piccolo telescopio.

I pianeti

In questa prima lezione ci limiteremo ad affrontare cose ed eventi che accadono nelle nostre vicinanze, potremo dire quasi dietro l’angolo di casa. I pianeti del sistema solare sono per ora gli unici che abbiamo e, anche se la curiosità in questi casi è grande specie se ci si chiede se sia possibile la vita al di fuori della Terra, conviene partire ricordando la parte fondamentale che questi oggetti hanno avuto nella storia della scienza e dell’umanità.

La via per la conquista intellettuale del cosmo è cominciata proprio dalla comprensione di quello che accadeva intorno alla Terra. Quando Galileo, professore all’Università di Padova dal 1592, venne a conoscenza nel 1609 dell’invenzione del cannocchiale, la teoria rivoluzionaria di Copernico che poneva il Sole al centro dell’universo, non era ancora stata accettata, diciamo, dall’“opinione pubblica” dell’epoca.

In pochi mesi, spinto anche dall’urgenza di ottenere un aumento di stipendio dai nobili veneziani, riuscì a perfezionare lo strumento così da riconoscere sulla Luna la presenza di catene montuose e valli. Puntando la sera del 7 gennaio 1610 il suo cannocchiale su Giove vide tre stelle, piccole ma molto brillanti, nelle vicinanze del pianeta (fig. 1).

Fig. 1. Le annotazioni di Galileo sulle sue prime osservazioni dei satelliti di Giove.

Continuando l’osservazione nelle sere successive giunse in capo ad una settimana alla convinzione che le stelline (nel frattempo diventate quattro) ruotassero attorno a Giove così come fa la Luna intorno alla Terra.

In tal modo veniva a cadere un'obiezione al sistema copernicano in quanto non si riusciva ad accettare come poteva la Terra ruotare attorno al Sole senza perdere la Luna. Ora, ai detrattori della nuova interpretazione, Galileo poteva semplicemente rispondere: “date un'occhiata a Giove!”. Così la visione copernicana ne usciva rafforzata e cominciava allora pure un modo nuovo di pensare e di porre domande al mondo e di verificarne le risposte. Tutta la gran massa di dati sui moti planetari poté essere vista sotto una nuova luce e con l’opera di Keplero, si riconobbero le leggi del moto dei pianeti. Successivamente con Newton, si giunse alla legge di gravitazione universale. Solo questa, dopo secoli di tentativi e di sforzi di immaginazione, permise finalmente di esplorare il cielo in modo concreto e verificabile.

In un certo senso il Sole è una stella fuori dal comune, poiché non è accompagnata da un’altra stella, ma ha una famiglia di nove pianeti, vari satelliti e innumerevoli corpi minori. Questo seguito di corpi celesti, tenuti assieme dalla forza gravitazionale del Sole, costituisce il sistema solare.

Tutti gli oggetti del sistema solare splendono di luce riflettendo la luce proveniente dal Sole. Tutti i pianeti orbitano intorno al Sole più o meno su un medesimo piano: così anche la Terra. Siccome il piano dell’orbita terrestre è detto eclittica per individuare un pianeta dovremo cercare in regioni del cielo vicine all’eclittica che per noi, non è altro che la traiettoria apparente seguita dal Sole nel suo moto annuale tra le stelle della volta celeste. In una serata qualsiasi guardando il cielo, è abbastanza facile aver di fronte qualche pianeta. Oggi però, non sappiamo più distinguerli dalle stelle per il semplice fatto che siamo presi dalla fretta e non abbiamo più la pazienza necessaria per star lì qualche sera a osservare gli spostamenti di questi astri rispetto alla configurazione familiare di qualche costellazione. Così ci accorgiamo subito quale deve essere un requisito importante per l’appassionato di Astronomia: l’essere pazienti e perseveranti. I moti e i fenomeni astronomici che può osservare avvengono generalmente su una scala temporale ben diversa dal ritmo sempre più frenetico imposto alla nostra esistenza. In questo senso possiamo dire di aver perso la capacità ben presente negli antichi, di osservare il cielo e di notare le piccole variazioni che via via presenta.

In definitiva, potremo riconoscere i pianeti confrontando in serate successive le posizioni di quegli oggetti che, pur sembrando delle stelle, mostrano di muoversi indipendentemente dalle stelle di sfondo.

Riusciremo così a distinguere con relativa facilità come Venere non si allontani dal Sole più di un certo angolo e per questo fatto debba essere visibile solo alla sera dopo il tramonto o al mattino, prima dell’alba.

Analogamente il percorso di Marte attraverso le costellazioni (e degli altri pianeti che distano dal Sole una distanza maggiore di quella della Terra) mostrerebbe degli strani avvitamenti tanto che in certi periodi sembra ritornare sui propri passi (fig. 2).


Fig. 2. Moto apparente di Marte: retrogrado tra A e B.

Moti e distanze

Visti comunque da un’altra prospettiva, quella che prende il Sole come riferimento, per esempio disponendoci al di sopra del suo polo nord, i pianeti mostrano orbite attorno al Sole percorse in verso antiorario (il cosiddetto moto diretto) e queste risultano delle curve chiuse leggermente schiacciate (si chiamano ellissi), sicché la distanza di ciascun pianeta dal Sole varia nel corso di una rivoluzione. Scelta la distanza media della Terra dal Sole come il termine di paragone per le altre distanze planetarie (si chiama unità astronomica, si indica con la sigla UA e vale 1 UA = distanza media Terra–Sole = 149,6 milioni di km), i nove pianeti si riassumono nella tavola 1.

Tav. 1: Dati planetari

V1_L1_T1

Note storiche

Fino a Saturno i pianeti, che superano in splendore le stelle più luminose, erano noti dai tempi più remoti.

Urano fu casualmente scoperto al telescopio da Herschel nel 1781; la sua luminosità apparente è di poco inferiore al limite dell’occhio umano. Il primo degli asteroidi Cerere, fu scoperto a Palermo dal Piazzi il 1 gennaio 1801. Nettuno e Plutone invece furono individuati attraverso il calcolo. Scopritori di Nettuno furono Adams e Leverrier, che indipendentemente giunsero a stabilirne la posizione attraverso i calcoli sulle perturbazioni che presentava il moto di Urano. Il pianeta fu quindi osservato in cielo da Galle, nell’esatto punto previsto dal Leverrier nel 1846.

I pianeti terrestri

I pianeti più prossimi al Sole (Mercurio, Venere, Terra e Marte) sono fondamentalmente simili nel senso che presentano tutti una superficie solida. Possiedono tutti un pesante nucleo metallico e un mantello di silicati su cui “galleggia” una crosta solida abbastanza sottile. Una caratteristica che appare presente in tutti ma che risalta maggiormente in quei pianeti con una debole atmosfera (Mercurio, Marte), è la craterizzazione dovuta all’impatto sulla superficie di corpi estranei avvenuta con particolare frequenza nelle fasi iniziali di formazione dei pianeti. I più massicci del gruppo (Venere e Marte) possiedono delle atmosfere molto diverse da quella terrestre indice di attività vulcanica attuale o passata. In particolare, sulla superficie di Venere la pressione atmosferica è 90 volte più grande di quella sulla Terra e, a causa dell’effetto serra causato da questa densa atmosfera, la temperatura è di circa 500 C°, sufficientemente elevata per fondere il piombo e lo zinco.

L’atmosfera è principalmente composta di anidride carbonica, un gas che noi rilasciamo nella respirazione, e che costituisce un tipico prodotto del riscaldamento di alcune rocce. Difatti, se l’osservazione visuale della superficie non è possibile per le nubi che avvolgono Venere, tramite gli echi radar inviati da Terra sono stati comunque “visti” diversi vulcani attivi.

Analogamente su Marte, pur dotato di una atmosfera molto più tenue, sono stati fotografati diversi vulcani estinti tra i quali anche il più grande vulcano del sistema solare, l’ Olympus Mons. Anche qui l’atmosfera, se si trascurano i componenti minori, è composta di anidride carbonica ad una pressione pari allo 0,5 per cento di quella terrestre. La temperatura superficiale media è abbastanza bassa (circa 45 gradi Kelvin cioè -228 C°) e all’equatore può variare da circa 27 C° a -100 C°. L’acqua, pur presente, a causa di questi valori di pressione e temperatura non può però assumere lo stato liquido. Lo studio comunque di diverse fotografie ha accertato che nella storia geologica di Marte ci devono essere stati dei periodi nei quali il clima era certamente più mite in modo da consentire la presenza di acqua nella fase liquida.

I pianeti gassosi

I pianeti gassosi (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) sono ben più grandi di quelli terrestri. Sono pure molto differenti in quanto costituiti principalmente di gas. Si pensa che la loro struttura interna sia costituita da gas nella fase liquida con nel nucleo uno stato liquido particolare dell’idrogeno tale da renderlo molto simile ai metalli. Le parti più esterne sono composte principalmente da idrogeno, elio, metano ed ammoniaca.

Queste sostanze, assieme ad altre di minor rilevanza, formano dense nubi che si dispongono a bande parallele all’equatore del pianeta e che, nel caso di Giove, sono facilmente visibili anche con un piccolo telescopio amatoriale. Tutti questi pianeti hanno molti satelliti e sistemi di dischi disposti sul piano equatoriale: famosi gli anelli di Saturno pure visibili facilmente con gli strumenti dell’astrofilo.

I pianeti minori

Tra le orbite di Marte e Giove c’ è una moltitudine di piccoli corpi orbitanti attorno al Sole. Il più grande di questi è chiamato Cerere (scoperto a Palermo nel 1801 dall’abate Piazzi) e possiede un diametro di 1.003 km, ma la maggioranza sono corpi molto piccoli con diametri di pochi chilometri. Sono i cosiddetti asteroidi o pianetini e si possono classificare in due diversi tipi: quelli composti principalmente da rocce ricche di silicio e quelli aventi composizione prevalentemente carbonacea. Se ne conoscono circa 2.000, la grande maggioranza dei quali si trova oltre l’orbita di Marte a 1,5 UA ma si pensa che la fascia degli asteroidi comprenda circa 400.000 oggetti di diametro superiore al km. Tuttavia sommando le loro masse si otterrebbe un corpo grande come la Luna; gli asteroidi pertanto non sono come ipotizzato, i resti di un antico pianeta esploso, ma i resti della formazione dei pianeti maggiori.

In sè e per sè i pianetini non rivestono una grande importanza. Non hanno atmosfera che non potrebbero comunque trattenere, nè esercitano perturbazioni sui pianeti vicini. Alcuni però possiedono orbite fortemente ellittiche e quindi si allontanano sensibilmente dalla fascia degli asteroidi intersecando talvolta l’orbita terrestre. Sono i cosiddetti asteroidi Apollo. Questi oggetti sono stati i principali responsabili dei crateri di diametro superiore ai 5 km sulla Terra, la Luna, Mercurio e Venere. Asteroidi di questo tipo devono aver colpito la Terra nel passato (si stima con una frequenza di 4 collisioni per milione d’anni) e altri possono farlo in futuro, con effetti devastanti. Si pensi che l’incontro della Terra con un oggetto Apollo di un km di diametro e di densità normale (3,5 g/cm3) potrebbe scavare un cratere di 22 km di diametro! La loro origine pare essere associata a quella delle comete: gli oggetti Apollo sarebbero i nuclei di comete che hanno perso i loro componenti volatili nei ripetuti passaggi in prossimità del Sole.

Le comete

Date le recenti apparizioni di comete, cometa Hyakutake (1996) e cometa Hale–Bopp (1997), abbondantemente pubblicizzate, diamo pure uno sguardo a questi corpi che per secoli hanno affascinato (e intimorito) l’uomo.

Cosa sono e come si muovono

Le comete sono corpi inconsistenti (la loro densità e` molto minore di quella dell’acqua), costituiti da un miscuglio di polveri, di gas gelati come anidride carbonica, monossido di carbonio, metano. Esse si muovono attraverso il sistema solare su orbite allungate, tornando ad avvicinarsi al Sole a intervalli che vanno da pochi anni a molte migliaia di anni.

Da dove provengono

Si ritiene che agli oscuri (e freddi) bordi esterni del sistema solare, a circa un anno luce dai suoi confini, esista una nube di miliardi di comete, la cosiddetta nube di Oort. Recenti osservazioni inoltre rafforzano l’esistenza di un ulteriore fascia (la fascia di Kuiper) dove, per mezzo del Telescopio Spaziale Hubble, sono state evidenziate numerose deboli immagini cometarie. L’influsso gravitazionale delle stelle più prossime fa sì che la nube abbia una simmetria sferica: ogni tanto una perturbazione stellare ne modifica la traiettoria e spinge le comete su nuove orbite, strappandole dalla nube e portandole verso il Sole, dove diventano visibili.

Come si comportano

Quando una cometa è lontana dal Sole, risplende solo riflettendo la luce solare. In questo stadio la cometa è piccola (solo pochi km di diametro) e debole. Avvicinandosi al Sole, la cometa si riscalda, e il ghiaccio, sublimando, si trasforma in gas e quindi si ionizza diventando fluorescente. In tal modo la luminosità della cometa aumenta notevolmente.

I gas e la polvere liberati dal riscaldamento producono un alone o chioma (la coma), del diametro di un centinaio di migliaia di km. È questo il responsabile dell’aspetto sfumato della coma. Al centro della chioma c’è il nucleo, del diametro di pochi chilometri soltanto e unica parte solida della cometa, formato da pezzi di ghiaccio e roccia. Non tutte le comete hanno una coda, ma molte sì. Una parte della coda è costituita dai gas soffiati via dalla testa della cometa dal vento solare (questa parte della coda è quella che punta esattamente nel verso opposto al Sole data la piccola massa di cui è composta). Essendo costituita dai gas ionizzati (ossia gli atomi del gas sono stati privati di qualche elettrone) questa parte di coda emette luce sua propria. L’altra parte della coda è costituita da particelle di polvere liberate dalla testa per l’evaporazione dei gas. Anche questa parte punta approssimativamente nella direzione opposta al Sole e può estendersi per più di 100 milioni di km ma, malgrado il suo aspetto stupendo, è meno densa del miglior vuoto che si possa creare nei laboratori terrestri. Diversamente dalla prima, la luminosità di questa è dovuta alla riflessione della luce solare. Così per l’origine diversa di queste code, spesso le comete appaiono con queste separate e ben distinte, com’è stato il caso della Hale-Bopp. Inoltre quando la cometa si allontana dal Sole, la coda precede la chioma ed il nucleo.

Occasionalmente sono state osservate sulle comete delle variazioni significative della luminosità dovute a emissioni di gas e polveri provenienti da zone più attive della superficie nucleo oppure, come notato anche recentemente (1994) in occasione della cometa Shoemaker-Levy 9, a frazionamenti del nucleo in due o più parti.

L’osservazione cometaria

Ogni anno si possono vedere con un telescopio amatoriale un dozzina di comete o anche più, ma solo occasionalmente (una ogni 10 anni circa) qualcuna di esse diventa abbastanza luminosa da essere visibile ad occhio nudo. Le comete che ritornano ogni anno sono un miscuglio di comete note che ritornano verso il Sole (varie della “famiglia” di Giove) e di scoperte completamente nuove. Si conoscono le orbite di circa un migliaio di comete e annualmente se ne aggiungono di nuove anche ad opera di astrofili specializzati. Ad ogni nuova scoperta viene dato il nome del suo scopritore.

Le comete e il Sole

L’orbita di molte comete che si spingono nelle regioni più interne del sistema solare subisce notevoli perturbazioni da parte dei pianeti maggiori in modo che le comete stesse non possono più allontanarsi molto dal Sole. La cometa con il periodo orbitale più breve è quella di Encke, che compie un'orbita attorno al Sole in 3,3 anni. Essa è tanto vecchia che ha perduto gran parte del suo gas e della sua polvere, ed è troppo debole per essere veduta ad occhio nudo.

Le comete più famose

La cometa più famosa è ovviamente quella scoperta da Edmond Halley che, nel 1705, ne calcolò l’orbita e ipotizzò che la cometa da lui osservata nel 1682, fosse la stessa di quella passata nel 1607 e nel 1531. La cometa di Halley riappare ogni 76 anni circa e l’ultima volta è stata nel 1986 quando passò al perielio (punto dell’orbita più prossimo al Sole) il 9 febbraio 1986. La sua orbita la porta da 0,6 UA dal Sole (tra le orbite di Mercurio e Venere) a 35 UA (oltre Nettuno e Plutone). Per questa cometa si hanno notizie risalenti al passato per più di 2000 anni.

La cometa di Halley fu studiata nell’ultimo passaggio da numerose sonde tra le quali la sonda Giotto che passò così vicina al nucleo da fotografarlo nei particolari. I dati inviati confermarono che il nucleo di una cometa è sostanzialmente come una grande “palla di neve sporca”.

Le comete e le meteore

La polvere perduta da una cometa si disperde nello spazio e la Terra e altri pianeti raccolgono continuamente polvere cometaria. Quando una particella di questa polvere entra nell’atmosfera, brucia per attrito a un’ altezza di circa 100 km, producendo un'improvvisa scia di luce, chiamata stella cadente o meteora. L’intero fenomeno finisce in meno di un secondo. In ogni notte limpida si possono vedere 5 o 6 meteore l’ora e queste sono dette sporadiche. A volte però la Terra attraversa l’orbita di una cometa estinta e incontra un denso sciame di particelle. Si ha allora una “pioggia meteorica”, durante la quale si possono vedere decine di meteore all’ora, che sembrano provenire da un unico punto del cielo, chiamato radiante. A questi sciami viene dato il nome della costellazione nella quale si trova il radiante. Ad esempio, le Perseidi, un’abbondante sciame di meteore splendenti che la Terra incontra nei giorni attorno al 10 agosto (S. Lorenzo), sembra irradiare dalla costellazione di Perseo. Le meteore tipiche sono di 2a o 3a magnitudine* ma le più spettacolari sono più luminose delle stelle più brillanti. Le meteore di grandezza eccezionale chiamate bolidi possono essere tanto luminose da proiettare addirittura ombre.

* Più alta è la magnitudine meno luminoso risulta all’osservazione l’oggetto in questione: l’occhio umano, per esempio, riesce ad apprezzare oggetti fino alla 6a magnitudine.

I satelliti

Tra i pianeti del sistema solare solo Mercurio e Venere non possiedono satelliti. La Terra ha la Luna, Marte presenta due piccole lune, Deimos e Phobos, probabilmente asteroidi catturati dalla gravità del pianeta.

Giove, Saturno, Urano e Nettuno ne possiedono molti, i più piccoli scoperti attraverso le sonde spaziali quale i due Voyager. Plutone, di cui si conosce ancora poco, ne presenta uno solo, Caronte.

Di tutti questi parleremo evidentemente della Luna e, a seguito delle recenti informazioni inviate dalla sonda Galileo, di alcuni satelliti gioviani.

La Luna

La Luna, satellite naturale della Terra e suo più prossimo vicino celeste, è un oggetto di perenne fascino per l’osservazione con strumenti di qualsiasi dimensione. Nonostante le sue piccole dimensioni (3476 km di diametro, circa un quarto di quello della Terra, con una massa pari a circa 1/81 di quella del nostro globo) essa è tanto vicina (in media 384.000 km) che un comune binocolo rivela una dovizia di particolari della sua superficie: tra questi spiccano numerosissimi crateri, catene montuose e pianure.

Moti lunari

Ogni mese la Luna attraversa un ciclo di fasi, dalla luna nuova (non illuminata: novilunio) alla luna crescente (1° quarto: quadratura), alla luna piena (plenilunio), alla luna calante (ultimo quarto), per ritornare alla luna nuova (fig. 3). Il tempo perciò che la Luna impiega a compiere l’intero ciclo di fasi, come osservato da uno stesso punto terrestre, è di 29,5 giorni e si chiama mese sinodico.


Fig. 3. Ciclo delle fasi lunari.

Ogni punto della superficie lunare è illuminato dalla luce solare per due settimane, durante le quali le temperatura superficiale raggiunge circa i 100 gradi Celsius, seguite da una notte di due settimane, in cui la temperatura giunge ai -170 C°.

La Luna ruota sul proprio asse in 27,3 giorni, lo stesso tempo che impiega per compiere una rivoluzione attorno alla Terra, sicché ci rivolge sempre la stessa faccia. A seguito dell’inclinazione dell’orbita rispetto all’eclittica e di altri meno percettibili movimenti (le librazioni) è possibile rilevare circa il 60% dell’intera superficie lunare.

L’osservazione lunare

Il momento migliore per osservare la caratteristiche della sua superficie è quando, al primo o all’ultimo quarto, le ombre proiettate dagli oggetti riescono a dare risalto anche alle più piccole asperità. In particolare osservando lungo la linea che divide la parte illuminata da quella non illuminata (il cosiddetto terminatore), gli oggetti vicini a questa vengono messi in netto rilievo dal basso angolo di illuminazione, per cui i crateri e le montagne appaiono particolarmente accidentati. Dove il Sole è più alto invece, i particolari diminuiscono e vicino al plenilunio, diviene difficile individuare anche formazioni di una certa consistenza.

Una eccezione sono quei crateri che presentano delle raggiere, evidentemente formate da roccia polverizzata espulsa dal cratere durante la formazione; le raggiere diventano più evidenti quando sono illuminate dall’alto.

Analogamente il contrasto tra le regioni montuose chiare e le pianure scure è più facile da cogliere quando la Luna è piena.

Le formazioni lunari

Dopo aver osservato la splendente Luna piena, sorprende constatare che le rocce lunari sono in realtà di colore grigio; in media, la superficie della Luna riflette soltanto il 7% della luce incidente. Quindi se la Luna fosse per esempio, coperta di nubi come Venere, sarebbe oltre 10 volte più luminosa. Le formazioni lunari portano una varietà di nomi curiosi. Le pianure scure sono chiamate mari, perché i primi osservatori pensavano che fossero distese d’acqua. Le pianure meno rilevanti sono denominate baie (Sinus), paludi (Palus) e laghi (Lacus). I monti della Luna prendono il nome da analoghe formazioni terrestri; così abbiamo le Alpi e gli Appennini lunari. I crateri prendono il nome da filosofi e scienziati del passato.

Le rocce lunari

Determinati i possibili luoghi di atterraggio tramite le sonde automatiche, il 20 luglio del 1969, il modulo lunare dell’Apollo 11 portò Neil Amstrong ed Edwin Aldrin al primo atterraggio umano sulla Luna, nel Mare della Tranquillità. I due astronauti restarono due ore a esplorare la superficie lunare, effettuando esperimenti e raccogliendo campioni da portare sulla Terra. Nel dicembre del 1972, quando l’Apollo 17 concluse la serie di missioni con equipaggio, gli astronauti avevano portato sulla Terra 380 kg di campioni lunari.

Dallo studio di queste rocce si poté dedurre la loro sorprendente età. I campioni dell’Apollo 11, ad esempio, risultarono vecchi di 3.700 milioni di anni, praticamente più vecchi di qualsiasi roccia sulla Terra, pur essendo il loro luogo d’origine una delle aree più giovani della Luna. Le rocce lunari più recenti di tutte, trovate dall’Apollo 12 nell’Oceanus Procellarum, hanno un'età di 3.200 milioni di anni. Come previsto, i mari lunari risultarono coperti da colate laviche di composizione simile al basalto sulla Terra.

Le rocce provenienti dalle regioni montagnose risultarono più vecchie di quelle provenienti dai mari, risalendo per lo più a 4 miliardi d’anni fa. Comunque, come vedremo più avanti a riguardo della formazione del sistema solare, le rocce dimostrano che la Luna si è formata 4.600 milioni di anni fa, contemporaneamente alla Terra e, nella stessa regione del sistema solare. Le teorie secondo la quale la Luna sarebbe un frammento del nostro pianeta o quella che considera la possibilità che la Luna sia stata catturata dalla Terra dopo essersi formata in un luogo molto lontano dal nostro pianeta, per esempio presso Mercurio o tra i satelliti di Giove, sono al giorno d’oggi superate.

Le maree

Infine accenniamo ad un'importante influenza della Luna sulla Terra e cioè alle maree. L’attrazione della Luna e del Sole sulla superficie delle acque e sulla crosta terrestre provoca il fenomeno delle maree. Queste sono delle deformazioni della massa fluida terrestre nel senso che la superficie di livello si deforma quasi fosse stirata dalla parte della Luna e dalla parte opposta. Si produce così un'onda di marea che ha il suo massimo (alta marea) e minimo (bassa marea). A causa della rotazione terrestre, l’onda di marea percorre la superficie delle acque con un intervallo di circa 6 ore (per l’esattezza 6h 13m , perché la Luna si sposta di circa 3,3 gradi mentre la Terra gira di 90 gradi) tra alta e bassa marea.

Satelliti gioviani

A seguito di una delle più spettacolari missioni scientifiche di tutti i tempi, iniziata il 5 marzo 1979, in un periodo di circa 30 ore il velivolo spaziale Voyager 1 fotografò da distanza ravvicinata tre dei quattro maggiori satelliti di Giove (quelli scoperti nel gennaio 1610 da Galileo): Io, Ganimede e Callisto. Fotografie particolareggiate del quarto satellite galileiano, Europa, sono state eseguite successivamente (il 9 luglio) dal Voyager 2, che ha esplorato anche gli emisferi di Ganimede e di Callisto che non erano risultati visibili al suo veicolo gemello. Più recentemente, nel dicembre del ’95, la sonda Galileo è stata posta in orbita di Giove e ha inviato entro la sua atmosfera pure una capsula carica di strumenti. È pertanto possibile disporre di nuovi dati per fare un raffronto con quelli dei due Voyager.

Il satellite galileiano più vicino a Giove (distanza orbitale pari a 420.000 km).è Io, del diametro di 3.600 km (leggermente più grande della Luna), con un periodo orbitale di 42 ore e mezza: volge inoltre sempre il medesimo emisfero a Giove. Io è il corpo del sistema solare che presenta la maggiore attività vulcanica. Difatti dal Voyager vennero ripresi 8 vulcani che eruttavano simultaneamente. Erano visibili centinaia di altre bocche vulcaniche, sebbene in quel momento inattive. Questi vulcani non eruttano lava ma zolfo liquido che gradualmente solidifica formando la superficie rossa, arancione e gialla tipica di Io.

Che cosa mantenga Io incandescente rimane un problema aperto. Secondo una teoria, Io è coinvolto in un conflitto gravitazionale tra Giove e gli altri satelliti galileiani; la loro attrazione contrapposta libera un'energia di marea che fa fondere l’interno di Io. Ma può darsi che la quantità di energia generata da questo meccanismo non sia sufficiente e che la risposta sia invece da cercare nelle potenti correnti elettriche che fluiscono attraverso Io mentre orbita entro il campo magnetico di Giove e che riscaldano il satellite.

Una parte dello zolfo sfugge formando un anello di zolfo ionizzato centrato sull'orbita di Io e ricade sul satellite più interno, Amaltea, rivestendolo di uno strato color arancione. La missione Galileo ha evidenziato un forte incremento della densità di particelle presenti in questo anello. Caratteristiche spettacolari sono i pennacchi vulcanici fotografati da Voyager 1 e che si innalzano fino a 300 km sulla superficie del satellite.

Questi distribuiscono il materiale eruttato (principalmente anidride solforosa) in una struttura ad ombrello, depositando anelli concentrici di materiale del diametro di 1.400 km. Una seconda classe di eruzioni deposita anelli di circa 300 km di diametro ma sono relativi a fenomeni della durata di almeno qualche anno. Un'ulteriore forma di attività vulcanica è quella delle grandi caldere (crateri a fondo piatto dovuti allo sprofondamento di un apparato vulcanico) e delle colate a raggiera ad esse associate. Quest'ultime si ritiene siano costituite prevalentemente da zolfo liquido (in diverse fasi esso assume colorazioni diverse) anzichè di basalto o di altri silicati come sulla Terra.

Un'ultima struttura vulcanica risulta unica nel suo genere. Una formazione isolata scura, probabilmente un grande lago di lava, costituiva all’epoca del passaggio di Voyager 1 il più grande punto “caldo” di Io, con una temperatura di circa 300 kelvin (circa 20 gradi centigradi), mentre la temperatura di fondo locale era di soli 130 kelvin (-150 gradi centigradi). Le immagini ad alta risoluzione hanno rivelato che all’interno del lago “Loki” esisteva una “zattera” di materiale chiaro, apparentemente solcata da crepe e circondata da frammenti più piccoli dello stesso materiale che sembravano essersi staccati dai bordi. È come se la crosta in via di raffreddamento della struttura fosse stata frantumata dai moti convettivi o dall’aggiunta di altro materiale eruttivo. La struttura è molto più estesa di analoghe formazioni terrestri, le caldere hawaiane, e anzi con i suoi 250 km circa di lunghezza, potrebbe contenere l’intero arcipelago. Ancora è in dubbio se sia piena di silicati fusi o di zolfo elementare in via di raffreddamento.

Origine del sistema solare

Tracciate in linea di massima le principali caratteristiche del sistema solare, passiamo all’esposizione delle teorie sulla sua formazione. A tal fine va sottolineato che ogni teoria che intenda spiegare la formazione del sistema solare deve tener conto di alcune sue peculiarità:

Le osservazioni di giovani stelle indicano che esse sono avvolte da regioni abbastanza dense composte di gas e polveri. La gran quantità di nuove conoscenze acquisite con le osservazioni degli ultimi trent’anni permette tra le numerose teorie proposte, di vedere come più probabile l’ipotesi della nebulosa originaria che, in forme ben diverse dalle attuali, fu per la prima volta proposta già due secoli fa da Laplace.

In breve e in modo approssimato, una grande nube di gas e polvere si contrasse nello spazio interstellare 4,6 miliardi di anni fa lungo uno dei bracci curvi della nostra galassia. La nube nella sua graduale contrazione causata dalla forza di gravità assunse la forma di un disco con le parti centrali in rotazione via via più veloce.

Ad un certo punto si accumulò al centro del disco un corpo tanto massiccio, denso e caldo da far innescare il suo combustibile nucleare e diventare una stella: il Sole. A un certo stadio le particelle di polvere circostanti si aggregarono, formando pianeti orbitanti intorno al Sole e satelliti orbitanti intorno ad alcuni pianeti.

Una qualche versione di questa visione è accettata dalla maggior parte degli astronomi anche se, gli studiosi dell’origine e dell’evoluzione del sistema solare, non hanno ancora accettato uniformemente una teoria che spieghi come si è formata la nebulosa solare primordiale, come e quando il Sole cominciò a brillare e come e quando i pianeti si formarono dalla polvere presente nella nebulosa. Paradossalmente si conosce con maggior dettaglio la formazione e l’evoluzione stellare che quella del nostro sistema solare. E la ragione è però abbastanza chiara: di sistemi planetari se ne conosce solo uno (trascuriamo per ora alcune recenti scoperte) mentre infinitamente più numerose sono le stelle che gli astronomi possono studiare, catalogare, confrontare.

Tralasciando per ora la formazione del Sole, argomento che verrà trattato nella prossima lezione, fissiamo l’attenzione sulla formazione dei pianeti. Questi si formarono a seguito del graduale accumulo di granuli o polveri interstellari presenti nella nebulosa primordiale e, per quelli più esterni, dalla successiva attrazione e coesione dei gas (principalmente idrogeno ed elio). I granuli interstellari sono quelli che hanno resistito senza trasformarsi in vapore al calore della nebulosa in contrazione. Poiché la temperatura sarebbe stata più alta in prossimità del centro che nelle zone periferiche, i materiali meno volatili si sarebbero concentrati nelle parti centrali. Materiali quali metalli, ossidi, silicati avrebbero dato origine ai pianeti interni; composti rocciosi, acqua, metano e ammoniaca ghiacciati sarebbero i responsabili per la formazione di quelli più esterni.

Nel caso dei pianeti interni più piccoli i vari stadi che portarono alle dimensioni finali passano attraverso diverse collisioni e successive aggregazioni di corpi rocciosi, i cosiddetti planetesimali. In tal modo si ritiene si sia formata anche la Terra. Nel caso dei pianeti esterni vanno invece fatte delle altre considerazioni: per questi si ritiene che, ad un certo punto il nucleo abbia raggiunto una dimensione critica tale da innescare il collasso dei gas ancora presenti nei dintorni. Si pensa che Giove, Saturno, Urano e Nettuno abbiano invece acquistato la maggior parte della loro massa proprio attraverso i processi di concentrazione e collasso dei gas.

Dopo la formazione dei pianeti, molto gas sarebbe ancora rimasto in orbita intorno al Sole insieme a innumerevoli piccoli corpi e a grandi quantità di polvere non consolidata. Ora invece osserviamo nel sistema solare che in orbita solare vi sono i pianeti, gli asteroidi con assai poca polvere e quasi niente gas. Come fu “ripulito” il sistema solare? La risposta va cercata nella formazione del Sole. Come vedremo le stelle giovani passano, in modo caratteristico, attraverso uno stadio particolare detto di T–Tauri. In questo fase della loro evoluzione le stelle espellono materia a velocità vertiginosa e ci sono tutte le ragioni per ritenere che anche il Sole abbia attraversato una simile fase trasportando nello spazio interstellare il gas residuo.

La “ripulitura” finale si ebbe a seguito delle numerose perturbazioni dei pianeti maggiori sulle orbite dei corpi minori. In poche centinaia di milioni di anni la maggior parte di questi corpi avrebbe subìto collisioni con uno dei pianeti o con qualche loro satellite: le “cicatrici” di questo bombardamento finale sono ancora particolarmente evidenti sulle superfici di Mercurio, Luna e Marte e costituiscono l’evidente craterizzazione della superficie.

In termini schematici la formazione del sistema solare si può riassumere nelle fasi rappresentate nella fig. 4

astro_fig4

Fig. 4. Schema della formazione del sistema solare.

I pianeti attraverso un piccolo telescopio

Con un piccolo telescopio innanzitutto, non ci si deve aspettare di vedere tutti i fantastici dettagli visibili nelle foto ottenute con i satelliti! Vi sono diverse cose interessanti da osservare comunque.

Mercurio

Mercurio è difficile da osservare ad occhio nudo ma con un telescopio si può vedere di sera o prima del sorgere del sole. Ovviamente è necessario sapere quando risulta visibile consultando un calendario astronomico.

Appare come un piccolo disco che presenta fasi analoghe a quelle della Luna.

Venere

Venere può apparire troppo luminoso quando il cielo è molto scuro quindi conviene osservarlo nei momenti del crepuscolo o addirittura di giorno. Si notano facilmente le fasi, durante le quali le dimensioni apparenti del disco variano di un fattore sette. A causa di tale fenomeno Galileo fondò la propria convinzione che i pianeti ruotassero attorno al Sole anziché attorno alla Terra. Per la densa atmosfera, non si possono cogliere dettagli della superficie.

Marte

L’osservazione di Marte è talvolta deludente in quanto, salvo quando risulta molto vicino alla Terra, si mostra solo come un piccolo disco privo di particolari. Quando è invece vicino alla Terra, si possono osservare le calotte polari e alcune zone più scure della superficie. Queste possono mostrare delle variazioni a seguito delle tempeste di polvere che periodicamente spazzano la superficie del pianeta.

Giove

Giove possiede un'atmosfera che presenta delle bande alternativamente chiare e scure, ben definite e visibili con un piccolo telescopio. Queste caratteristiche mostrano delle variazioni a seguito della veloce rotazione del pianeta e della stagione. Si può inoltre osservare la Grande Macchia Rossa. I quattro satelliti galileiani si possono individuare anche con un binocolo e nel loro moto attorno a Giove mostrano tutta una serie di eclissi ed occultazioni molto interessanti. I moti di questi satelliti furono sfruttati pure per le prime determinazioni della velocità della luce.

Saturno

Saturno è ovviamente il più interessante dei pianeti mostrando, in un piccolo telescopio, il suo sistema di anelli. Tra i suoi satelliti si nota facilmente Titano.

Urano, Nettuno

Urano e Nettuno appaiono in un piccolo telescopio come dei minuscoli dischi verdastri mentre Plutone risulta fuori dalla portata dei piccoli strumenti dell’astrofilo.


FAQ (Frequently Asked Questions )

Con un titolo mutuato dal gergo di Internet proponiamo qui alcune risposte a domande che vengono poste con una certa frequenza.

D.01. Qual è la differenza tra l’astronomia e l’astrologia?

Benché l’astronomia e l’astrologia siano storicamente collegate e nei secoli scorsi, molte persone si interessassero ad entrambe, oggi non vi è più alcuna connessione tra le due.

L’astronomia si fonda sulle leggi della fisica (e quindi pure sulla matematica) e cerca di descrivere ed interpretare l’universo che si osserva con gli strumenti che oggi si hanno a disposizione. Poiché le leggi della fisica si ritengono costanti nel tempo, l’astronomia può pure spiegare il comportamento dell’universo nel passato e proporre un limitato numero di possibili scenari per il suo futuro. Le applicazioni più comuni dell’astronomia includono calcoli e previsioni sui tempi del sorgere e tramontare del sole, sulle fasi lunari, sulle maree, sulla localizzazione delle eclissi, sulla visibilità delle comete, su possibili incontri di corpi celesti (si pensi all’incontro tra la cometa SL9 con Giove avvenuto nel 1994), sulle traiettorie di navicelle spaziali, ...

L’astrologia d’altra parte dichiara di poter prevedere il futuro delle persone o il significato che questo può avere per esse o per l’umanità, basandosi sulle configurazioni dei pianeti del sistema solare e sulle date di nascita. Le sue “applicazioni” più comuni sono gli oroscopi. Indipendentemente da quale sia il supporto scientifico per l’astrologia, i suoi scopi e metodi sono chiaramente distinti da quelli dell’astronomia.

D.02. Che cos’è la gravità?

Centinaia d’anni di osservazioni hanno stabilito l’esistenza di una forza di attrazione agente tra tutti gli oggetti fisici: per questo fatto viene anche detta universale. Nel 1687 Isaac Newton quantificò questo fenomeno nella legge di gravità, la quale stabilisce che ogni oggetto nell’universo attrae ogni altro oggetto, con una forza tra i due corpi che è proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra essi. Se M e m sono le due masse, r la loro distanza, e G la costante gravitazionale, la forza F è data da

V1_L1_F1

La costante gravitazionale G si può misurare in laboratorio e vale approssimativamente G = 6,67 x 10-11 m3/kg * s2.

La legge di Newton della gravità costituisce una delle prime grandi “unificazioni” nella storia della fisica in quanto spiega, con un’unica semplice legge, sia la nostra comune esperienza sulla Terra (la caduta della proverbiale mela di Newton) sia la forza che governa il moto dei pianeti attorno al Sole.

La gravità è una forza estremamente debole. Si pensi che la repulsione elettrica tra due elettroni, cioè tra due cariche negative, è circa 1040 volte più intensa della loro attrazione gravitazionale. Nonostante ciò, la gravità è la forza dominante su scale molto grandi, quelle con cui ha a che fare l’astronomia. Per questo fatto ci sono due ragioni. Primo: la gravità, diversamente da altre forze più intense quali le forze nucleari, è una forza di “lungo raggio” che rimane non trascurabile anche a distanze molto grandi dagli oggetti. Secondo: la gravità è additiva. I pianeti e le stelle sono approssimativamente degli oggetti elettricamente neutri cosicché le forze di tipo elettrico tendono a cancellarsi. La massa è al contrario solo positiva per cui questi oggetti presentando masse notevoli implicano forze gravitazionali altrettanto notevoli.

Pur essendo la legge di Newton estremamente accurata per la maggior parte delle osservazioni, ciò nonostante conduce a delle anomalie spiegate solo dalla teoria speciale della relatività, proposta da Einstein nel 1916. È questa la moderna teoria della gravitazione.

D.03. Giove potrebbe diventare una stella?

Una stella è usualmente definita come un corpo il cui nucleo possiede una temperatura e pressione tali da permettere la fusione di elementi leggeri in elementi più pesanti con una contemporanea emissione di energia. La reazione di base è la fusione di quattro nuclei di idrogeno (protoni) in un nucleo di elio-4 con la liberazione di una frazione significativa di energia. Perché ciò avvenga la massa del corpo dev’essere, secondo calcoli teorici, di almeno 0,08 volte la massa del Sole. Ora Giove, pur essendo il maggior pianeta del sistema solare, possiede una massa di 0,001 masse solari, 80 volte inferiore al limite teorico. Di conseguenza Giove non potrà diventare una stella nemmeno ipotizzando che l’idrogeno attualmente presente nel sistema solare collassi tutto su Giove. Difatti la quantità di quest’ultimo è largamente inferiore alle rimanenti 79 masse gioviane necessarie.

D.04. Che cosa significano scritture del tipo 107 o 1013 o 4 × 10-7 ?

Espressioni del tipo 107 o 1013 o anche 3 × 10-5 sono esempi di come nelle scienze si esprimono i valori numerici delle grandezze fisiche: in quest'ambito si usa appunto lanotazione a virgola mobile. Questa si dimostra particolarmente utile nel caso si debbano esprimere valori molto grandi o molto piccoli e consiste nel prodotto di due termini, il primo fattore è un numero maggiore o eguale ad 1 e minore di 10, il secondo una potenza di 10. Per esempio per intendere il numero 1.000 si dovrebbe scrivere 1 × 103 ma molto più spesso si scrive solo 103. Il valore di 3.000 assume di conseguenza la forma più compatta 3 × 103. Analogamente 10.000 = 104: un milione diviene semplicemente 106 e un miliardo 109. Per intendere quindi un numero pari a 1000 miliardi è sufficiente scrivere 1012 appunto uguale a 103 × 109.

Parallelamente i numeri estremamente piccoli si scriveranno come: 1/1.000 = 0,001 = 1 0-3 , 1/1.000.000 = 10-6 . Per intendere quindi 3 miliardesimi è sufficiente la notazione 3 × 10-9mentre la scrittura 2 × 10-12 equivarrà al valore di 2 millesimi di miliardesimo in quanto 2 × 10-12 = (2/1.000) × 10-9.

D.05. C’è vita nel sistema solare?

Negli ultimi decenni, si è cominciato a cercare seriamente e in modo sistematico tracce di vita extraterrestre; veicoli spaziali automatici hanno osservato, a distanze che vanno da 100 a circa 100.000 chilometri, oltre 70 fra pianeti, satelliti, comete e asteroidi. Nel caso della Luna, di Venere e di Marte, le osservazioni compiute da veicoli orbitanti o scesi sulla superficie hanno fornito dati in modo ulteriormente più dettagliato. Nessuna di queste missioni ha potuto fornire prove convincenti di vita extraterrestre, nè indizi che facessero pensare alla sua esistenza. Se quindi attualmente la Terra continua ad essere l’unico mondo abitato a noi noto, non si può certo escludere che la vita possa essere esistita in alcune fasi evolutive di qualche pianeta, Marte in particolare, o possa esistere in sistemi planetari diversi dal nostro. Infatti le osservazioni astronomiche stanno sempre più evidenziando come i sistemi planetari siano abbastanza comuni. Una prova indiretta di ciò è il numero sorprendentemente grande di stelle giovani con massa pari all’incirca di quella del Sole che risulta circondato proprio da quei dischi di gas e polvere che si ritiene costituiscano le prime fasi nella formazione di un sistema planetario.

D.06. Per osservare i pianeti che strumento occorre?

Se l’osservazione consiste nella semplice identificazione nel cielo e nell’analisi dei moti dei pianeti maggiori (Venere, Marte, Giove, Saturno) allora è sufficiente un comune binocolo. Questo permette già di distinguere i quattro maggiori satelliti di Giove e delle loro configurazioni. Il binocolo è in effetti il “compagno ideale” di molti osservatori e il suo acquisto non viene rimpianto anche quando si possiede un telescopio più potente in quanto costituisce sempre un valido complemento. Un binocolo, inoltre, offre del cielo una visione non “traumaticamente” diversa da quella che si ha ad occhio nudo e quindi non pone problemi di riconoscimento del campo che esso inquadra. Ricordiamo che, nelle sigle dei binocoli, il primo numero indica l’ingrandimento e il secondo il diametro dell’obiettivo espresso in millimetri. Più sono alti questi numeri, più il binocolo è “potente”. Si tenga comunque presente che oltre i 10–12 ingrandimenti il tremolio delle mani impedisce di sfruttare pienamente le possibilità del binocolo per cui in tali casi un supporto diventa indispensabile. I binocoli con obiettivi sui 50 mm di diametro e con 7 ingrandimenti sono quelli più comuni (cioè 7 ×  50).

Passando a strumenti appena un po’ più impegnativi, per esempio un cannocchiale rifrattore con obiettivo di 6 cm, già a 70 ingrandimenti, si possono osservare in modo molto nitido le due bande oscure equatoriali di Giove, il suo forte schiacciamento polare e la Grande Macchia Rossa. Saturno mostra i suoi anelli e di Venere si possono apprezzare le diverse fasi.

In generale, per l’osservazione planetaria non è necessario, dato il basso contrasto dei particolari da osservare, che lo strumento disponga di un obiettivo di diametro particolarmente grande. L’apertura relativa ottimale, cioè il rapporto tra il diametro dell’obiettivo e la sua lunghezza focale, è in effetti attorno a 1/10.

D.07. Come posso individuare un pianeta?

Per l’individuazione di un pianeta, a parte Giove che risulta l’astro più luminoso in assoluto del cielo ed è quindi, dopo un po’ d’esperienza facilmente individuabile, è necessario consultare qualche almanacco che riporti le effemeridi ossia le coordinate del pianeta per la data di osservazione. Quindi, utilizzando una mappa del cielo di un atlante stellare e individuata la posizione relativamente a stelle vicine facilmente riconoscibili, si può passare alla ricerca sul campo.

Più brevemente, è sufficiente consultare una qualsiasi rivista di astronomia. Queste riportano mensilmente le effemeridi dei pianeti spesso commentando la loro visibilità e associando pure dei disegni illustrativi che facilitano il riconoscimento.

D.08. Qual è la differenza tra un’eclisse solare e una lunare?

Un eclisse solare avviene quando la Luna sta tra la Terra e il Sole e l’ombra lunare interseca la Terra. Le eclissi di Sole possono essere totali, parziali o anulari. Un’eclisse totale si ha quando la Luna copre il Sole per intero. Un’eclisse è invece parziale quando la Luna copre solo una parte del Sole. Poiché inoltre l’orbita lunare attorno alla Terra non è perfettamente circolare, in alcune fasi la Luna si allontana dalla Terra. Se quindi avviene una eclisse solare quando la Luna sta nel punto più lontano dalla Terra, il Sole non viene oscurato completamente: in tal caso, del Sole, rimarrà visibile un anello circolare attorno alla Luna: si ha quindi un eclisse anulare.

Un’eclisse lunare avviene quando la Terra giace tra la Luna e il Sole. Anche questo tipo di eclisse può essere o totale o parziale a seconda che la Luna attraversi completamente o solo parzialmente l’ombra proiettata dalla Terra. Queste eclissi non avvengono tutti i mesi in quanto l’orbita della Terra attorno al Sole e quella della Luna attorno alla Terra non giacciono sullo stesso piano. Difatti le eclissi avvengono solo quando questi tre corpi stanno sul medesimo piano e ciò può avvenire per le eclissi lunari circa 7 volte l’anno. Siccome poi le dimensioni della Luna sono più piccole di quelle della Terra e così anche per l’ombra proiettata, le eclissi solari avvengono con una frequenza minore, essendocene in media 1,5 all’anno.

D.09. Perché la Luna piena appare più grande quando si trova vicino all’orizzonte di quando si trova alta nel cielo?

Questo fenomeno sembra così evidente che si è portati a cercare una spiegazione di tipo oggettivo, ricorrendo per esempio a qualche ipotetico effetto lente dovuto all’atmosfera terrestre. In realtà basta confrontare due fotografie della Luna nelle due posizioni per verificare che non vi è differenza apprezzabile. L’effetto è pertanto una illusione ottica. In effetti il diametro verticale apparente della Luna è un po’ minore all’orizzonte che in altre posizioni a seguito della rifrazione atmosferica. Misure precise su quello orizzontale hanno mostrato che in media questo è minore dell’1,7% in quanto, in tale situazione, ci si trova più lontani dalla Luna di un tratto pari ad un raggio terrestre rispetto a quando essa appare alta nel cielo. L’effetto è invece di origine psicologica, dovuto essenzialmente al fatto che ognuno di noi opera automaticamente, e quindi molto spesso inconsapevolmente, dei confronti sulle dimensioni apparenti tra oggetti vicini per valutare la loro distanza relativa. Tali valutazioni provengono da un rapido confronto più o meno inconsapevole, tra informazioni precedentemente acquisite e conservate nella memoria. Da ciò derivano molte valutazioni errate, chiamate comunemente illusioni ottiche.

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra ’l suol marino.

Dante: Purg. II, 13