Lezione 4. L’Universo

14 Origine dell’universo

14.1 Un universo omogeneo

Nelle lezioni precedenti ci siamo familiarizzati con gli elementi principali dell'universo: le stelle e le galassie. A queste scale la distribuzione della massa è evidentemente non uniforme. Le stelle sono regioni dove la massa appare concentrata in modo sostanzialmente diverso che nelle regioni interstellari. Analoga osservazione si può fare per le galassie e le regioni intergalattiche così come tra ammassi di galassie. La materia appare ancora distribuita con diverse densità.

Ad una scala maggiore comunque della distanza media tra gli ammassi di galassie, diciamo qualche decina di Mpc (30-60 milioni di anni luce), l'universo comincia ad apparire abbastanza uniforme. Per esempio, se dividiamo l'universo in regioni cubiche, ciascuna con un lato di 100 Mpc (100 × 106 pc), ognuna di queste regioni contiene approssimativamente lo stesso numero di galassie, di ammassi di galassie, in sostanza la medesima massa. Si dice quindi che l'universo è omogeneo quando lo si considera alla scala di 100 Mpc o maggiore. L'universo quindi ha una distribuzione disomogenea di materia a ‘piccola' scala mentre assume una struttura decisamente più omogenea quando viene studiato alle scale più grandi. Se quindi esso appare omogeneo, è naturale chiedersi quale sia la sua densità media. Una stima che tenga conto sostanzialmente di tutte le galassie conosciute e degli ammassi di galassie, implica per la densità un valore prossimo a 5 × 10−30 grammi al centimetro cubo.

Per quanto detto circa le forze esistenti nella materia (lezione 1, parag. 1), vi sono solo due forze che possono influenzare a larga scala la sua distribuzione: le forze elettromagnetiche e la gravità. Di queste due, la forza elettromagnetica agisce solo tra particelle cariche ma poiché la materia è generalmente neutra, possiamo ritenere trascurabile la sua influenza sulla dinamica dell'universo. Ne segue che il comportamento del nostro universo è sostanzialmente governato dalla sola forza di gravità.

14.2 L’espansione dell’universo e teoria della gravitazione

Come, quando e perché ha avuto inizio il nostro universo? Qual è il suo ordine di grandezza? Che forma ha? Di che cosa è fatto? Sono domande che possono nascere dalla curiosità di un bambino, ma sono anche quesiti intorno ai quali lavorano da diversi decenni i cosmologi moderni. Fino ai primi anni del secolo ventesimo, né i filosofi né gli astronomi avevano mai messo in dubbio l'idea che esistesse uno spazio fisso sullo sfondo del quale si muovevano le stelle, i pianeti e tutti gli altri corpi celesti. Per quanti cambiamenti si potessero osservare, ci si immaginava sempre che essi avvenissero sullo sfondo di uno spazio fisso, più o meno come avviene alle palle da biliardo che rotolano su un piano. Ma negli anni venti questa semplicistica rappresentazione dovette essere mutata; in primo luogo, per suggerimento dei fisici che studiavano le conseguenze della nuova concezione della gravità proposta da Einstein; e, in secondo luogo, per i risultati delle nuove osservazioni eseguite dall'astronomo nordamericano Edwin Hubble sul colore della luce emessa dalle stelle appartenenti a galassie lontane.

Il dato da cui dobbiamo partire per tentare una risposta è, appunto, quello che considera l'universo sostanzialmente uniforme a grande scala e che vede la gravità come la sola forza responsabile della sua struttura. Ora, quando la materia si ritrova distribuita in modo uniforme i campi gravitazionali possono essere molto intensi e, come nel caso dei buchi neri o delle pulsar, solo la teoria gravitazionale di Einstein è in grado di trattare simili situazioni.

Le conseguenze di tale teoria per campi gravitazionali generati da distribuzioni uniformi di materia sono abbastanza facili da ottenere: essa predice che un simile universo debba essere in uno stato di espansione, con la distanza tra gli oggetti cosmici (per esempio, le galassie) in graduale allontanamento uno dall'altro. Matematicamente, una tale situazione viene descritta da una quantità detta il fattore di espansione. Un tale fattore determina nella teoria la struttura a grande scala nell'universo e, al variare del tempo, questo stesso fattore deve crescere in modo da descrivere l'aumento delle dimensioni dello spazio. Questo modello pertanto suggerisce che tutte le galassie più distanti devono allontanarsi da noi a seguito dell'espansione cosmica. E, in effetti, questa previsione è stata confermata. È stato Hubble il primo a evidenziare questo fondamentale fenomeno cosmologico.

Hubble fece uso di una semplice proprietà delle onde elettromagnetiche. Se la loro sorgente si allontana dall'osservatore, la frequenza con cui le onde stesse sono ricevute diminuisce o, similmente, la lunghezza d'onda deve aumentare.

Per renderci conto di un tale effetto, agitiamo un dito in uno specchio d'acqua tranquilla e osserviamo le creste delle onde che si muovono verso un certo punto della superficie dell'acqua. Allontaniamo adesso il dito da quel punto, continuando a produrre le onde: vedremo che esse saranno ricevute con una frequenza inferiore a quella con cui sono emesse. Se invece muoviamo infine il dito verso il medesimo punto di ricezione, la frequenza di ricezione delle onde aumenterà. Questa proprietà è comune a tutte le specie di onde. Nel caso delle onde sonore, essa determina il cambiamento di altezza del fischio di un treno o di una sirena della polizia, quando il treno o l'automobile ci passano davanti: è il cosiddetto effetto Doppler (fig. 27).

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Figura 27: Rappresentazione di onde emesse da una sorgente in moto.

Ora anche la luce è un'onda, e quando la sua sorgente si allontana dall’osservatore, la diminuita frequenza delle onde luminose fa sì che la luce visibile appaia all’occhio dell’osservatore leggermente più rossa. Questo effetto e chiamato spostamento verso il rosso o redshift. Quando la sorgente luminosa si avvicina all’osservatore, la frequenza di ricezione aumenta, la luce visibile diventa più azzurra e questo effetto prende il nome di spostamento verso il blu o blueshift.

Hubble scoprì che la luce proveniente dalle galassie da lui osservate mostrava un sistematico spostamento verso il rosso. Misurando il cambiamento di colore nello spettro di emissione di particolari atomi e confrontandolo con quello della luce emessa da atomi dello stesso tipo in un laboratorio terrestre, egli poté stabilire la velocità di allontanamento delle sorgenti luminose. Confrontando quindi la luminosità apparente di alcune stelle della classe delle cefeidi con i rispettivi periodi di variabilità, Hubble poté dedurre le loro distanze da noi. Scoprì, in tal modo, che tanto più lontana era la sorgente luminosa, tanto più spostato verso il rosso appariva il suo spettro e conseguentemente tanto più velocemente essa si stava allontanando da noi.

Questa tendenza è nota col nome di legge di Hubble ed è illustrata con dati moderni nella fig. 28.

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Figura 28: Rappresentazione grafica della legge di Hubble.

La fig. 29. (1 Angstrom = 10−10 metri) mostra invece un esempio di segnale luminoso emesso da una galassia lontana che presenta lo spostamento verso il rosso della luce emessa da vari atomi (idrogeno H–alfa e H–beta, ossigeno O, azoto N) rispetto allo spettro che si sarebbe avuto se la luce fosse stata emessa dagli stessi atomi in laboratorio.

Hubble aveva scoperto l’ espansione dell’universo. Al posto di uno sfondo immutabile entro il quale noi potessimo seguire i moti locali dei pianeti e delle stelle, egli scoprì che l'universo si trovava in uno stato dinamico. E questa scoperta confermava quanto la teoria generale della relatività di Einstein aveva già predetto a proposito dell'universo: che esso non può essere statico.

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Figura 29: Spettro di una galassia lontana (Markarian 609) con redshift.

14.3 Natura dell’espansione

Ma che cosa esattamente si sta espandendo? Certamente non la Terra, né il sistema solare e neppure la nostra galassia, la Via lattea. Non si espandono neppure quegli aggregati di migliaia di galassie a cui diamo il nome di “ammassi galattici”. Tutti questi aggregati di materia sono legati insieme da forze di attrazione elettriche e gravitazionali fra le loro parti costitutive, certamente prevalenti a queste scale sull'espansione.

Solo quando si passa alla scala dei grandi ammassi di centinaia di migliaia di galassie è possibile constatare che l'espansione vince la locale forza di gravità. Per esempio, la galassia a noi più vicina, Andromeda, si muove verso di noi perché l'attrazione gravitazionale fra Andromeda e la Via Lattea è più forte degli effetti dell'espansione universale. Sono quindi gli ammassi galattici, e non le galassie, che funzionano come punti di riferimento dell'espansione cosmica.

Dal punto di vista della Terra, sembra che ogni ammasso galattico si stia allontanando da noi. Perché diciamo noi? Se conosciamo un poco la storia della scienza, sappiamo che Copernico dimostró che la Terra non è al centro dell'universo. Se invece pensiamo che ogni cosa si stia allontanando da noi, non ci ricollochiamo nuovamente al centro dell'immensità degli spazi? Le cose in effetti non stanno per niente così. La risposta più immediata consiste nel sottolineare che l'espansione dell'universo non è un'esplosione che abbia origine in un determinato punto nello spazio. In questo caso non esiste uno spazio inteso come uno sfondo fisso entro il quale l’universo si stia espandendo in quanto l'universo contiene tutto lo spazio esistente! In altre parole, non si tratta di un moto degli ammassi galattici attraverso lo spazio, ma di una dilatazione dello spazio esistente fra un ammasso galattico e l’altro.

Il fatto che lo spazio possa dilatarsi può sembrare sorprendente, ma è un concetto che emerge in modo naturale dalla teoria di Einstein sulla gravità. Secondo questa teoria la gravità è, in realtà, una manifestazione della curvatura, o deformazione, dello spazio (più esattamente dello spazio–tempo). In un certo senso, lo spazio è elastico e può contrarsi o dilatarsi in dipendenza delle proprietà gravitazionali della materia in esso contenuta. Per chiarire questo importante concetto ci potrà essere utile una semplice analogia.

Immaginiamo un insieme di bottoni, ciascuno rappresentante un ammasso galattico, cuciti su una striscia molto lunga di tessuto elastico (fig. 30), distanti un tratto d uno dall'altro e supponiamo di allungare la striscia, tirandola alle due estremità in modo da raddoppiare la distanza di ciascuno. Questo allungamento avviene in un tempo pari a t.

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Figura 30: Modello unidimensionale di universo in espansione.

Tutti i bottoni si allontaneranno l’uno dall’altro, ciascuno di un tratto d da quelli adiacenti e quindi,alla fine, la distanza sarà diventata 2d. Qualunque sia il bottone sul quale vorremmo concentrare la nostra attenzione, i bottoni a lui vicini sembreranno allontanarsi. L'espansione tuttavia, è la stessa in ogni punto della striscia in quanto non vi è alcun bottone che sia privilegiato rispetto agli altri. Scelto comunque un bottone come riferimento i due ad esso adiacenti si sono allontanati con velocità v1 = (2d - d)/t mentre quelli che stavano inizialmente ad una distanza 2d (e che, dopo lo stiramento, distano 4d) appariranno allontanarsi con una velocità v2 = (4d - 2d)/t  =  2d/t  =  2v1.

I bottoni appena più lontani a ogni singolo bottone sembrano quindi allontanarsi a una velocità pari al doppio di quella con cui si allontanano dal medesimo i bottoni un po' più vicini. Ad una conclusione analoga si giunge se si considerano bottoni via via più lontani. In questo tipo di espansione la velocità di allontanamento risulta essere proporzionale alla distanza dal punto di riferimento, in formula v = h · d.

In base a ciò conviene quindi pensare all'espansione dell'universo come ad una espansione dello spazio esistente fra gli ammassi galattici. Ma qual è la conseguenza di tale espansione? Con il dilatarsi dello spazio e, a causa dell'effetto Doppler, pure la lunghezza d'onda della luce aumenta e quindi lo spettro della radiazione emessa da un ammasso si sposta verso le lunghezze d'onda maggiori cioè verso il rosso. Hubble constatò quindi che la misura dello spostamento verso il rosso è proporzionale alla distanza, proprio come suggerisce l'analogia a cui siamo ricorsi. Tale legge assume una forma molto semplice: V = H · D, dove V è la velocità di allontanamento degli ammassi galattici, D la loro distanza dalla Via Lattea e H è la costante che determina l'entità di questa espansione, la cosiddetta costante di Hubble. Questa costante ha un valore compreso tra 50 e 100 km/s al Mpc e l'incertezza su tale valore è dovuta al fatto che la distanza delle galassie non è a sua volta conosciuta con precisione. Questo fatto è particolarmente importante poiché il valore della costante di Hubble è intimamente correlato all'età dell'universo; minore è il valore di H maggiore sarà l'età dell'universo e viceversa. Prendendo per esempio H = 50 km/s per Mpc, si può dedurre che l'universo raddoppierà le sue dimensioni in 18 miliardi di anni.

14.4 L’universo ha un passato

Il fatto che le galassie abbiano un moto sistematico a larga scala forma la base della moderna cosmologia e porta a delle importanti conseguenze.

Innanzitutto discende che

• l’universo sta cambiando continuamente cioè è in evoluzione.

Anche se questi cambiamenti avvengono in periodi di miliardi d’anni, ciò nonostante la dinamica dell’universo è effettiva e non una pura interpretazione filosofica. A causa di questo dinamismo inoltre nel passato, qualche miliardo di anni fa,

• le condizioni dovrebbero essere state molto diverse dalle attuali.

In particolare, poiché al presente le diverse strutture nell'universo si stanno allontanando una dall'altra, segue che nel passato dovrebbero essere state molto più vicine. L'universo dovrebbe essere stato più denso nel passato, con una densità via via crescente mano a mano che si risale indietro nel tempo. Un tale aumento nella densità dovrebbe quindi implicare un moto più veloce per le particelle esistenti e quindi una loro maggiore temperatura. Giungiamo quindi alla conclusione che nelle prime fasi dell'universo la materia doveva essere più densa e calda. Tutto questo porta a fare un'altra considerazione.

La materia, così come siamo abituati a considerarla alle temperature ordinarie terrestri, deve, alle alte temperature, cambiare il proprio stato in modo significativo.

Abbiamo già visto come la materia nella sua forma atomica neutra non possa sussistere a temperature maggiori, diciamo, di un milione di gradi. Gli elettroni inizialmente legati ai rispettivi nuclei, a temperature così elevate risultano del tutto dissociati per cui la materia assume la forma del plasma, uno stato che vede sia i nuclei positivi che gli elettroni negativi, in un continuo moto di agitazione termica. Ne segue che nelle prime fasi dell'evoluzione dell'universo, tutta la materia doveva esistere nello stato di plasma.

Ma che cosa significa invertire la direzione del tempo per le dimensioni dell'universo? In accordo con la teoria di Einstein, le dimensioni dell'universo dovrebbero essere state nulle in un qualche istante attorno ai 15 miliardi di anni fa. Tutta la materia doveva essere concentrata in un punto e la densità e la temperatura dell'universo dovevano essere infinite. Un tale istante è individuato in matematica come una “singolarità” mentre è diventato popolare con il termine di big bang.

Va comunque sottolineato che quanto detto è solo una deduzione teorica della teoria della gravitazione di Einstein ma ci sono ragioni per credere che questa stessa teoria cessi di essere valida quando le dimensioni dell'universo diventano molto piccole: in tal caso si crede debba essere sostituita da una teoria più soddisfacente (anche se nessuno sa ancora quale!). Il termine “big bang” è pertanto solo un modo conveniente per intendere l'istante nel quale la teoria di Einstein cessa di valere: in quest'istante si pone, per convenzione, l'istante zero per l'universo.

14.5 Materia e radiazione

Abbiamo appena detto che le condizioni fisiche nel nostro universo cambiano con il tempo a causa dell’espansione. Diventa allora interessante cercare di capire quale possano essere state le condizioni fisiche dell’universo.

Quando l'universo si espande, la densità di materia (e radiazione) diminuisce tanto che, muovendoci nel passato, l'universo diviene via via più denso. Oggi, come detto, la densità di materia è di circa 5 × 10−30 g/cm3 se si tiene presente sia la componente visibile, stelle, galassie e relativi ammassi, sia la cosiddetta “materia oscura” composta da diversi tipi di particelle, primariamente neutrini (della “materia oscura” parleremo più avanti 15.2). Quando l'universo era 10 volte più piccolo, la densità di materia dovette essere 1000 volte maggiore poiché il volume dell'universo varia come il cubo del suo lato. Comunque, un fatto curioso avviene per l'energia della radiazione presente nell'universo. Quando l'universo era 10 volte più piccolo, l'energia associata alla radiazione doveva essere 10.000 volte maggiore di quella odierna (piuttosto che 1000 volte). Per comprenderne la ragione, conviene associare questa energia ad un grande numero di fotoni. L'energia di questi dipende direttamente dalla frequenza e inversamente dalla loro lunghezza d'onda (si veda 2.3). Ora, quando l'universo si espande, la lunghezza d'onda dei fotoni si allunga del medesimo fattore cosicché nel passato, con un universo 10 volte più piccolo, la lunghezza d'onda era 10 volte più piccola e l'energia quindi 10 volte maggiore. D'altra parte la densità nel numero dei fotoni è aumentata nella stessa misura di quella della materia (cioè 1000 volte) per cui la densità di energia dev'essere aumentata del fattore 10 × 1000 = 10.000.

Tutto ciò porta ad una interessante conclusione. Poiché il contributo energetico della radiazione cresce più velocemente di quella della materia quando si considerano tempi al passato, è chiaro che in qualche periodo iniziale, l'energia dovuta alla radiazione sarà stata la componente dominante sulla materia. Per capire cosa significa ciò, è necessario conoscere quanta energia è attualmente presente nell'universo sotto forma di radiazione. Dobbiamo pertanto fare una specie di inventario della radiazione presente nel nostro universo.

La radiazione elettromagnetica odierna si può dividere grosso modo in due parti. La prima è la radiazione che ha origine da sorgenti specifiche nel cielo. La radiazione delle stelle, delle galassie, ..., cade in questa categoria. Essa si distribuisce in diverse regioni dello spettro elettromagnetico (radio, microonde, infrarosso, visibile, ultravioletto, raggi X) a seconda delle caratteristiche della sorgente che le emette. Per esempio, una stella tipo il Sole emette una grande quantità di radiazione nella banda ottica (visibile) e infrarossa, mentre un gas caldo in un ammasso di galassie emetterà principalmente nella regione dei raggi X. Qualsiasi sia la banda di emissione, questo tipo di radiazione si può associare a sorgenti specifiche nel cielo. C'è una seconda categoria di radiazione presente nel nostro universo, la cosiddetta “radiazione di fondo”. Questa radiazione permea tutto lo spazio attorno a noi in modo più o meno uniforme e non può essere identificata con qualche specifica sorgente nel cielo. Gli astronomi hanno trovato che questa radiazione è presente in molte bande tipo le microonde, i raggi X e i raggi gamma.

Paragonando la quantità di energia presente nella prima categoria con la seconda, si trova che la maggior parte dell'energia sta proprio nella seconda categoria; cioè, la maggior parte dell'energia radiante è distribuita come un fondo uniforme nel cielo. A ciò va aggiunto che, la frazione dominante di questa radiazione di fondo possiede le caratteristiche tipiche di uno spettro termico come quello emesso da un corpo nero (si veda il parag. 2.3). Poiché le caratteristiche dello spettro di emissione di un corpo nero dipendono solo dalla sua temperatura, si può associare una temperatura caratteristica alla radiazione di fondo: questa corrisponde a 2,7 gradi sopra lo zero assoluto (o gradi Kelvin). In effetti la radiazione termica di un corpo alla temperatura di 2,7 K possiede il massimo nella regione delle microonde dello spettro elettromagnetico. Per questo fatto questa radiazione si chiama “radiazione di fondo a microonde” (fig. 31).

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Figura 31: Variazione di intensità della radiazione di fondo con la frequenza.

La densità della radiazione a microonde può essere calcolata dalla sua temperatura. Discende che questa densità, attualmente, è circa 10.000 volte più piccola della densità energetica della materia. Poiché però la densità della radiazione cresce più velocemente di quella della materia, in qualche epoca passata le due densità dovrebbero essere state uguali. Per quanto già notato una contrazione di un fattore 10 nelle dimensioni implica per la densità energetica della materia un incremento di 1000 volte mentre per la radiazione di 10.000. In tal modo la radiazione ha guadagnato un fattore pari a 10 sulla densità energetica della materia. Poiché oggi la densità di radiazione è inferiore a quella della materia per un fattore 10.000 allora sarà uguale a quest'ultima nell'epoca dove le dimensioni dell'universo si saranno ridotte di 10.000 volte. Nelle epoche anteriori a questa, l'universo doveva esser dominato dalla radiazione anziché dalla materia (fig. 32).

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Figura 32: Densità di energia della materia e della radiazione.

Per una legge fisica abbastanza comune, quella dei gas, all'aumentare della densità di radiazione, la temperatura deve proporzionalmente aumentare. Quando l'universo era 1000 volte più piccolo, doveva essere pure 1000 volte più caldo cioè con una temperatura di 1000×2,7 = 2.700 K. Risalendo ulteriormente nel passato, le dimensioni diventano ancora più piccole e la temperatura e la densità cresceranno a loro volta. Come detto, si fissa convenzionalmente l'istante zero del big bang quando queste due ultime grandezze assumono un valore infinito e la misura del tempo inizia quindi da tale istante. Vi sono argomenti teorici che suggeriscono che per tempi inferiori a 10−44 secondi dall'istante del big bang, quando la temperatura era maggiore di 1032 K, la teoria di Einstein non possa più essere ritenuta affidabile mentre a temperature più “ragionevoli” 1010 ma anche 1020, la medesima teoria rimane perfettamente valida e può essere usata per fare delle previsioni. Utilizzando quindi questa teoria, si può stimare la temperatura dell'universo in un dato istante. Quando l'età di questo era di un secondo, la sua temperatura doveva quindi essere di 10 miliardi di gradi (1010 K). A questa temperatura l'energia media di una particella è confrontabile con quella delle energie coinvolte nei processi nucleari e poiché questi sono ben conosciuti per gli studi fatti nei laboratori terrestri, è possibile fare delle previsioni certamente attendibili già a quest'epoca.

14.6 Un secondo dopo

Qual'era il contenuto dell'universo dopo un secondo dalla sua formazione? Notiamo che la temperatura dell'universo in quest'epoca era così elevata (appunto 1010 K) che né atomi né nuclei atomici potevano esistere. La materia doveva quindi esistere sotto forma di particelle elementari. L'esatta composizione dell'universo a quel tempo si può dedurre riportando indietro il contenuto attuale. Ne esce che l'universo doveva essere una mistura a temperatura molto elevata di protoni, neutroni, elettroni, positroni, fotoni e neutrini. Tra queste particelle, i protoni, neutroni e gli elettroni sono i costituenti base di tutta la materia e ci sono familiari nell'universo attuale. I neutrini sono particelle della stessa famiglia degli elettroni (leptoni), privi di carica elettrica e forse, di massa, e che interagiscono solo molto debolmente con il resto della materia (si veda parag. 3.1). A questo stadio, possiamo trascurare l'esistenza di questi neutrini. Il positrone (che è l'antiparticella dell'elettrone) porta invece una carica elettrica positiva, diversamente dagli elettroni. Questa particella, poco presente nell'universo attuale, esisteva invece nell'universo di età 1 secondo per un motivo molto semplice: la massa dell'elettrone (o del positrone) è equivalente, secondo la ben nota legge E = mc2 ad una energia di circa 0,5 MeV cioè di 0,5 milioni di elettronvolt (l'elettronvolt è una comoda unità di misura dell'energia per le particelle elementari). La tipica energia di un fotone all'età di 1 secondo è invece di 1 MeV per cui alla temperatura detta, essendo l'energia e la massa scambiabili una con l'altra, i fotoni disponevano dell'energia sufficiente per creare coppie elettrone–positrone.

Che cosa si può dire per la densità numeriche di ognuna di queste particelle? Ancora, queste possono esser calcolate partendo dalle densità attuali. Innanzitutto, il numero totale di protoni e positroni dovrà essere uguale a quello degli elettroni in quanto l'universo non è elettricamente carico. Ogni elettrone porta un'unità di carica negativa mentre ogni positrone e ogni protone ne portano ciascuno, una unità positiva. Le densità numeriche di protoni e neutroni sono approssimativamente uguali, con i neutroni in numero leggermente minore. Per i fotoni va notato che entrambe le densità numeriche dei fotoni e dei protoni decrescono nell'identico modo all'espandersi dell'universo. Cosicché il rapporto di queste due densità non cambia quando l'universo si espande. Conoscendo il rapporto attuale quindi conosceremo pure quello passato. Dalla densità di energia della radiazione a microonde e la densità della materia, è possibile risalire a questo rapporto. Se ne deduce che il numero di fotoni nell'universo è molto più grande del numero di protoni o neutroni; per ogni nucleone (protone o neutrone) ci sono approssimativamente 109 fotoni nell'universo. Infine è possibile calcolare la densità numerica dei neutrini, dato il numero dei fotoni. Ancora si trova che sono circa uguali.

V2_L4_T4

Tabella 4: Densità numeriche all’età di 1 secondo.

Definita la composizione dell’universo all’età di 1 secondo (tabella 4), possiamo ora provare a determinare la sua storia successiva.

Quando l'universo si espande, esso si raffredda; l'energia media dei fotoni decrescerà e presto questa energia diverrà minore di 0,5 MeV. Quando ciò succede, i fotoni non potranno più produrre coppie elettrone–positrone. Le coppie elettrone–positrone, comunque esistenti, si annichilano una con l'altra producendo energia. Quando l'universo raggiunge 1 miliardo di gradi, la maggior parte dei positroni sarà scomparsa a seguito delle annichilazioni con gli elettroni. L'universo contiene ora protoni, neutroni, elettroni e fotoni. In particolare i protoni e gli elettroni sono ancora in egual numero mantenendo la neutralità dell'universo.

A quest'epoca le particelle esistono come entità individuali e non nella forma che è a noi familiare. Per creare le forme nucleari e atomiche conosciute oggi, è prima necessario fondere i protoni con i neutroni per costituire i nuclei dei diversi elementi. Successivamente dobbiamo combinare gli elettroni con questi nuclei per formare gli atomi neutri. Alla temperatura di 109 gradi l'energia è paragonabile a quella che confina i protoni e i neutroni nel nucleo per cui è possibile la formazione di nuclei di diversi elementi. Il fatto è che tale processo, chiamato nucleosintesi, non è per niente facile. La difficoltà principale è che l'universo si sta espandendo rapidamente in quest'epoca: esso raddoppia le sue dimensioni ogni pochi secondi mentre oggi, dopo 15 miliardi di anni dall'istante zero, sarebbero necessari altri 18 miliardi di anni per raddoppiarle. Ciò mostra come l'espansione dell'universo giochi un ruolo dinamico fondamentale nei primi istanti mentre oggi ha perso certamente di importanza.

Per fondere assieme due o più particelle è quindi necessario vincere la tendenza all'espansione: per formare un nucleo di elio, il secondo elemento della tavola periodica vanno fusi assieme due protoni e due neutroni: in totale quattro particelle. Fortunatamente esiste un nucleo, il deuterio, costituito da un protone e da un neutrone con una energia di legame di circa 2,2 MeV. Quando la temperatura cade al di sotto di tale valore (ad ogni valore di temperatura si può associare anche una corrispondente energia) diviene possibile combinare protoni e neutroni e formare nuclei di deuterio. Conseguentemente, due nuclei di deuterio, possono quindi formare un nucleo di elio. Ne segue che i primi elementi oltre l'idrogeno debbano essere il deuterio e l'elio.

14.7 Nucleoni e deuterio

È importante chiarire come questi elementi si possano produrre. Notiamo che l’energia di legame dell’elio è pari a 28,3 MeV mentre quella del deuterio è solo 2,2 MeV cosicché risulta favorita la fusione di tutto il deuterio in elio.

E difatti grossomodo è ciò che avviene. A causa però dell’espansione dell’universo il processo non riesce a completarsi e una piccola frazione (circa una parte su 10.000) di deuterio sopravvive alla conversione in elio. Anzi tanto minore è la densità dei nucleoni (protoni e neutroni) tanto maggiore è la frazione di deuterio che sopravvive. Così con la stima della quantità di deuterio prodotto nel primo universo, possiamo delimitare la quantità di materia nucleare presente nell’universo stesso.

Il deuterio è un nucleo abbastanza fragile ed è facilmente distrutto durante l’evoluzione stellare. Così il deuterio che viene rilevato dev’essere un “relitto” del primo universo. Allora, le osservazioni danno un limite inferiore alla quantità di deuterio prodotto nel primo universo (cioè potrebbe esserne stato prodotto di più ma certamente non di meno). Le stime suggeriscono che questa quantità sia almeno di 1 parte su 10.000 e i calcoli teorici indicano che tale abbondanza è possibile solo se la quantità totale di nucleoni nell’universo sia 10-30 g/cm3. Se l’abbondanza di deuterio è maggiore, allora il numero di nucleoni dev’essere minore. Ne segue che il limite inferiore per l’abbondanza osservata di deuterio porta ad un limite superiore per la quantità di nucleoni presente nell’universo. Vediamo come questo risultato abbia delle importanti implicazioni.

Consideriamo ora la quantità di elio che dovrebbe essere stato prodotto nel primo universo. Poiché ogni nucleo di elio contiene due protoni e due neutroni, è necessaria la medesima quantità di protoni e neutroni per formare i nuclei di questo elemento. Se l’universo ha precisamente eguali quantità di protoni e neutroni, allora tutti questi nucleoni possono partecipare alla formazione dell’elio. Se per qualche ragione c’ è un minor numero di neutroni, allora questi neutroni si possono combinare con un eguale numero di protoni, per formare una certa frazione di nuclei di elio e i rimanenti protoni formeranno quindi solo nuclei d’idrogeno. Così la frazione dell’elio che viene sintetizzata nel primo universo dipende dal rapporto delle densità numeriche dei neutroni e protoni.

Originariamente, nei primissimi istanti dell'universo, le due densità dovevano essere uguali. Comunque, al trascorrere del tempo, la densità dei neutroni deve diminuire paragonata a quella dei protoni e ciò perché i neutroni liberi nell'universo non sono particelle stabili ma decadono trasformandosi a loro volta in un protone, un elettrone e un neutrino v (più propriamente, un antineutrino) secondo la reazione n → p + e + v. A causa di questo decadimento, la densità dei neutroni decresce gradualmente cosicché, quando l'universo si è raffreddato a sufficienza, si ritiene che il rapporto delle densità di neutroni con quella dei protoni sia di 12 a 88. In altre parole vi dovrebbe essere il 12% di massa neutronica mentre l'88% di massa dovuta ai protoni. Allora, su 100 nucleoni, 12 neutroni si combineranno con 12 protoni per formare l'elio e i rimanenti 76 protoni finiranno per diventare dei nuclei di idrogeno. Ne segue che il 24% della massa sarà nella forma di nuclei di elio, mentre il 76% sarà costituito da idrogeno (fig. 33).

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Figura 33: Abbondanze percentuali della massa totale di idrogeno e dell’elio.

15 EVOLUZIONE

In linea di principio, si potrebbe obiettare che potrebbero prodursi pure elementi più pesanti dell'elio seguendo altre reazioni nucleari. In pratica però, non è facile sintetizzare questi nuclei atomici in quantità rilevanti, principalmente perché l'espansione ostacola la fusione di un sufficiente numero di protoni e neutroni. Nelle stelle invece questo diviene possibile in quanto possono mantenere per milioni di anni una temperatura elevata nelle regioni del nucleo, cosa ben diversa in un universo che si sta rapidamente raffreddando. Dettagliati calcoli teorici mostrano che solo l'elio viene prodotto in quantità rilevanti mentre rimarranno solo in traccia elementi come il deuterio e altri più pesanti.

La conclusione descritta sopra è la predizione chiave del modello cosmologico standard. In accordo a questo modello, solo l'idrogeno e l'elio sono stati prodotti nel primo universo. Tutti gli altri elementi, a noi familiari, devono essere stati sintetizzati altrove e, per quanto detto sull'evoluzione stellare, sappiamo che ciò avviene nel nucleo delle stelle, unici luoghi dove la temperatura è sufficientemente elevata.

Al trascorrere del tempo, l'universo continua ad espandersi e a raffreddarsi. Abbastanza curiosamente, non succede più nulla di grande importanza fino all'età di 400.000 anni, quando la temperatura raggiunge i 3000 gradi Kelvin. A questa temperatura, la materia attraversa una transizione di fase e passa dallo stato di plasma all'ordinario stato gassoso, con gli elettroni e ioni legati assieme per formare i normali atomi di idrogeno ed elio. Quando questi atomi si sono formati, i fotoni cessano di interagire con la materia e iniziano a fluire liberamente nello spazio. La materia quindi, da opaca che era, diviene trasparente ai fotoni. Quando l'universo si espande di un altro fattore 1000, la temperatura di questi fotoni cade a circa 3 Kelvin. Di conseguenza noi oggi dovremmo rilevare una radiazione attorno a noi con una temperatura prossima ai 3 Kelvin.

E in effetti, una tale radiazione si rileva ed è quella già accennata del fondo a microonde, corrispondente alla temperatura di 2,7 K e scoperta nel 1965 da Arno Penzias e Robert Wilson. Gli studi sulla distribuzione di tale radiazione hanno evidenziato la sua notevole uniformità spaziale (isotropia) e hanno confermato la sua origine cosmologica, quale relitto delle prime fasi dell'universo. Come vedremo più avanti, le osservazioni correlate a questa radiazione giocano un ruolo vitale nel discriminare tra modelli cosmologici diversi.

15 Evoluzione

La descrizione dell'universo data nella precedente sezione contiene le caratteristiche meglio comprese della cosmologia convenzionale. La descrizione parte da un universo “vecchio” di 1 secondo fino a giungere all'età di 400.000 anni. Benché questa sia un'impresa significativa, essa lascia ancora aperte tre questioni:

  1. Che cosa succede prima di un secondo?
  2. Che cosa avviene all’universo tra l’età di 400.000 anni ed ora?
  3. Che cosa succederà all’universo nel futuro?

La prima di queste domande è di difficile soluzione e ha portato a molte speculazioni teoriche e quindi ad una proliferazione di teorie, gran parte delle quali ancora prive di supporti sperimentali significativi. Pertanto non intendiamo inoltrarci in quest'ambito, ancora del tutto speculativo. Delle rimanenti due domande, intendiamo sviluppare la terza e cioè vorremmo conoscere l'evoluzione futura dell'universo. L'espansione continuerà ancora per sempre? Oppure essa raggiungerà un massimo e quindi sarà seguita da una contrazione?

Si dice spesso che ciò che sale deve poi discendere. L'attrazione che la gravità esercita su un corpo scagliato verso l'alto ne frena la corsa e lo riconduce a terra. Non sempre, però! Se il corpo si muove a una certa velocità, può sfuggire del tutto alla gravità terrestre e immettersi nello spazio per non ritornare mai più. La “velocità di fuga” critica è di circa 11 km/s. Questo valore critico dipende dalla massa della Terra e dal suo raggio.

Dato un corpo avente una determinata massa, quanto più piccole sono le sue dimensioni, tanto più grande è la sua gravità in superficie. Sfuggire al sistema solare significa vincere la forza di gravità del Sole: la velocità di fuga richiesta è di 618 km/s. Anche per sfuggire alla Via Lattea è necessaria una velocità di alcune centinaia di km/s. All'altro estremo, la velocità richiesta per sfuggire a un oggetto così compatto come una stella di neutroni è di decine di migliaia di km/s; quella per sfuggire a un buco nero coincide con la velocità della luce.

E per sfuggire all'intero universo? L'universo, per la stessa sua definizione, non può avere un confine dal quale si possa evadere; ma se immaginiamo che lo abbia e che esso si trovi al limite estremo delle osservazioni attuali (cioè a una distanza di circa 15 miliardi di anni luce da noi), allora la velocità di fuga sarebbe pressapoco equivalente alla velocità della luce. È un risultato molto significativo, perché le galassie più lontane sembrano allontanarsi da noi a una velocità molto vicina a quella della luce. A prima vista, le galassie sembrano allontanarsi così velocemente da poter addirittura “sfuggire” all'universo, o per lo meno fuggire l'una dall'altra per non tornare indietro.

L'universo in espansione, anche se non esiste un suo limite ben definito, si comporta in modo assai simile a quello di un corpo scagliato dalla Terra nello spazio. Se la velocità di espansione è abbastanza elevata, le galassie in fuga riusciranno a vincere la gravità complessiva di tutta la restante materia dell'universo, e l'espansione continuerà in eterno. Se invece, il tasso di espansione è molto basso, l'espansione a un certo punto finirà e l'universo comincerà a contrarsi. Le galassie allora potrebbero “tornare indietro” e il risultato finale sarà una catastrofe di proporzioni cosmiche: il collasso dell'universo.

V2_L4_Fig34

Figura 34: Espansione dell’universo e possibili scenari.

Quale di questi scenari ( fig. 34) si verificherà? La risposta dipende dal confronto fra due numeri. Da un lato vi è il tasso di espansione, dall’altro l’attrazione gravitazionale complessiva dell’universo, cioè il peso dell'universo stesso. Quanto più grande è l'attrazione, tanto più velocemente l'universo deve espandersi per vincerla. Gli astronomi possono misurare direttamente la velocità di espansione osservando lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali; ma la risposta è ancora controversa. La seconda quantità – il peso dell'universo – è ancora più problematica.

15.1 Pesare l’universo

Come pesare l’universo? In altre parole, la massa complessiva dell’universo qual è? La teoria cosmologica standard dice che la densità critica della materia è di circa 5 x 10-30 g/cm3: se la densità reale dell’universo è maggiore di tale valore allora l'espansione avrà termine e sarà seguita da un contrazione. Al contrario, l'espansione non avrà mai termine se la densità effettiva risultasse minore di quella critica. Quindi la domanda diventa: la densità dell'universo è maggiore o minore di quella critica?

È relativamente facile dare una risposta parziale alla domanda in quanto è possibile stimare approssimativamente la quantità di materia che esiste nelle galassie, negli ammassi di galassie, ... purché questa materia “si veda” ossia emetta della radiazione elettromagnetica in una qualche zona dello spettro: nel visibile, nei raggi X o anche nella banda delle onde radio. Il risultato cui si giunge è che la densità totale dovuta a questi oggetti è circa un decimo di quella critica. Così se tutta la materia fosse “visibile”, allora l'universo si dovrebbe espandere per sempre.

Sfortunatamente, questa stima non tiene conto che non tutta la materia che esiste nell’universo è visibile. Oramai vi è la consapevolezza che il gas e le stelle che si osservano nel cosmo costituiscano solo una frazione minuscola della massa totale di tutte le strutture su grande scala nell'universo, a partire dalle galassie in su. Il gas e le stelle potrebbero essere solo i “traccianti” della materia che domina i campi gravitazionali di queste strutture.

15.2 La materia oscura

La prova dell'esistenza della materia oscura risale ormai a più di sessant'anni fa, quando Fritz Zwicky si accorse che la somma della massa di tutte le galassie visibili nell'ammasso della Chioma di Berenice era di gran lunga insufficiente a tenere legate da reciproca attrazione gravitazionale le singole componenti dell'ammasso. Successivamente, Zwicky trovò discrepanze simili studiando i moti delle galassie all'interno di altri ammassi. Questi ammassi sono costituiti da centinaia o da migliaia di componenti, tenute assieme dalla mutua attrazione gravitazionale delle galassie stesse, nonché della materia (visibile o oscura) che eventualmente si trova tra esse: perché l'ammasso rimanga legato gravitazionalmente le velocità delle galassie devono essere compatibili con la quantità complessiva di materia presente nel sistema. Zwicky scoprì che le velocità delle galassie erano molto più alte di quanto previsto. In altre parole, la quantità di materia contenuta nell'ammasso doveva essere molto più grande (di un fattore 10-100) di quanto stimato sommando le masse delle singole galassie, assumendo per esse valori plausibili del rapporto tra massa e luminosità.

Ulteriori evidenze a favore dell'esistenza di materia oscura vennero raccolte negli anni settanta, e in particolar modo verso la fine di quel decennio, con attenti studi del moto di rotazione della nostra Galassia e delle galassie a spirale. Infatti, come il moto dei pianeti attorno al Sole segue le leggi di Keplero, secondo le quali le velocità di rotazione dei pianeti diminuiscono progressivamente allontanandosi dal Sole, così la velocità di rotazione su se stesse delle galassie (misurata dagli spostamenti Doppler delle righe spettrali della radiazione radio a 21 cm emessa dall'idrogeno) dovrebbe diminuire nelle regioni periferiche, a grande distanza dal centro. Il caso delle galassie è più complesso che il caso del sistema solare, dove la massa è praticamente tutta concentrata al centro, nel Sole. Tuttavia, anche per le galassie, in cui la materia è distribuita attraverso il sistema, le velocità di rotazione dovrebbero diminuire rapidamente verso l'esterno. Quello che invece si trovò fu che le velocità rimanevano più o meno costanti a grande distanza dal centro e a volte ben al di là del limite visibile delle galassie (fig. 35).

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Figura 35: Velocità osservate e teoriche per due galassie.

Tutto ciò portò ad una conclusione sorprendente ossia ad ipotizzare l'esistenza di enormi aloni di materia oscura (contenenti anche dieci volte più materia della galassia stessa) che dovevano circondare il disco visibile delle galassie, così da produrre una curva di rotazione compatibile con quella osservata. Fu dimostrato teoricamente che le galassie a spirale, come la nostra, senza tali aloni sarebbero risultate intrinsecamente instabili e quindi avrebbero potuto mantenere l'attuale aspetto soltanto per tempi molto brevi. Quindi, nella stessa Via Lattea vi dovrebbe essere una massa invisibile dieci volte superiore a quella costituita dai gas e dalle stelle. Studi eseguiti su diversi tipi di galassie hanno ripetutamente confermato questo risultato: tutte le galassie possiedono un esteso alone di materia oscura attorno ad esse e la parte visibile, fatta di stelle e gas costituisce solo una piccola frazione. Ne segue che la responsabile per le forze gravitazionali e la dinamica di una galassia è la materia oscura piuttosto che la parte di materia visibile. In aggiunta, come lo studio sulla distribuzione delle nubi di idrogeno nelle galassie ha dimostrato, spesso l'alone di materia oscura supera di diverse volte il confine della parte visibile suggerendo ancora una volta che la componente visibile della massa sia solo una piccola frazione immersa nel mezzo di una vasta struttura di materia oscura.

Come già detto, alla scala degli ammassi galattici, sembrano necessarie concentrazioni da 10 a 100 volte più cospicue di materia oscura di quelle che si misurano nelle galassie. A scala ancora maggiore il contributo della materia oscura sembra essere circa la metà di quanto richiesto perché l'universo possa contrarsi. Ad ogni modo le osservazioni suggeriscono che la densità della materia oscura vada aumentando mano a mano che si aumenta la scala delle strutture: alcune stime portano a supporre che più del 95% della materia sia “oscura” e che quindi non emetta radiazione elettromagnetica. È allora possibile che la quantità totale di materia oscura contenuta nell'universo sia sufficiente per invertire la sua espansione.

15.3 Di che cosa è fatta?

A prima vista si potrebbe dire che la materia oscura debba essere costituita dalle particelle tipiche della materia ordinaria cioè protoni e neutroni o, come si usa dire, sia nella cosiddetta forma “barionica”. Queste particelle potrebbero essere presenti in stelle troppo poco massicce per innescare reazioni nucleari nei loro nuclei. La massa di queste stelle, dette nane brune, dovrebbe essere minore di 0,07 Mo: in tal caso esse risulterebbero così deboli da eludere le normali tecniche astronomiche di rilevazione. Comunque, anche supponendo l'esistenza di questa nuova classe di stelle, è difficile giustificare tutta la materia oscura. Difatti per quanto osservato circa l'abbondanza del deuterio, è possibile porre condizioni abbastanza restrittive alla densità numerica dei nucleoni presenti nell'universo. Questo limite implica che i nucleoni della materia non siano superiori al 10% della densità totale necessaria per “chiudere” l'universo, cioè per fermare la sua espansione. Ciò getta seri dubbi sulla possibilità che forma di materia possa render conto di tutta la materia oscura esistente nelle galassie e negli ammassi; di sicuro essa non può giustificare tutta quella che pervade le più grandi strutture dell'universo, i superammassi di galassie.

Questa considerazione ha portato a congetturare che gran parte della materia oscura abbia una forma diversa, “non barionica”, consistendo probabilmente di particelle fondamentali assenti nella materia ordinaria. Il candidato più ovvio è il neutrino. I neutrini sono particelle esistenti in tre specie diverse (si veda parag.3.1), la cui massa non è nota, sebbene si sappia che deve essere sicuramente molto minore di quella degli elettroni. In base al modello cosmologico standard, in media dovrebbero esserci 100 milioni di neutrini di ciascun tipo per ogni metro cubo di spazio. Poiché i neutrini sono enormemente più numerosi dei nucleoni (per un fattore di circa 108), non occorrerebbe che essi abbiano una grande massa per ricoprire un ruolo importante nella dinamica del cosmo: sarebbero infatti in grado di “chiudere” l'universo anche se la loro massa fosse solo un decimillesimo di quella di un elettrone.

I neutrini non sono l'unico possibile candidato per la materia oscura. Diversi modelli teorici delle particelle postulano l'esistenza di particelle più “esotiche” chiamate WIMP, dotate di masse molto maggiori di quella del protone ma molto meno abbondanti. Queste classe di particelle non è comunque stata ancora rivelata mentre il neutrino è senza dubbio una particella esistente. Le teorie che prevedono le WIMP sono pertanto ancora solo speculative.

Soluzione? Allo stato attuale delle conoscenze non è ancora possibile stimare con ragionevole certezza la massa della materia oscura: di conseguenza non possiamo nemmeno dire se l'universo si espanderà per sempre, oppure no. Solo recentemente, all'inizio del giugno '98, un gruppo di fisici giapponesi ha comunicato l'esito di un esperimento (il Superkamiokande), svolto appunto nella miniera di Kamioka alla profondità di 1.000 metri. Osservando i neutrini prodotti dai raggi cosmici all'impatto con l'atmosfera, in particolare quelli provenienti dalla parte opposta rispetto al laboratorio, dopo che avevano attraversato tutto il nostro pianeta, si è potuta evidenziare una carenza di neutrini muonici rispetto alle previsioni. Questa carenza, all'apparenza insignificante, è invece la conferma di un fenomeno già previsto negli anni sessanta da Bruno Pontecorvo, la cosiddetta oscillazione dei neutrini: occasionalmente un neutrino può trasformarsi in un altro neutrino, per ragioni ancora ignote; ma un fenomeno di questo genere può avvenire soltanto ammettendo che i neutrini abbiano massa non nulla. Non è ancora possibile determinare direttamente il valore della massa del neutrino ma l'esperimento fornisce comunque un risultato importante e cioè che il neutrino ha massa non nulla. Il prossimo futuro potrebbe porre il neutrino come il probabile costituente primario della materia oscura: staremo a vedere..

16 Gli ultimi 3 minuti

La predizione è difficile, specialmente del futuro. – Niels Bohr –

L'intera storia dell'universo è la storia di come la gravità gradualmente soverchia tutte le altre forze di natura. In primo luogo essa deve contrastare l'espansione cosmica originaria: poiché alcune parti dell'universo iniziano la loro esistenza in condizioni di densità leggermente superiori alla media, oppure si espandono a una velocità leggermente inferiore alla media, esse si condensano poi in strutture tenute insieme dall'autogravità. I sistemi che si condensano successivamente diventano protogalassie, nelle quali il gas viene gradualmente trasformato dalle successive generazioni di stelle. Nelle singole stelle, la gravità è bilanciata dalla pressione e dall'energia nucleare; le stelle di piccola massa, una volta esaurito il loro combustibile, possono sopravvivere come nane bianche o stelle di neutroni, ma le ceneri degli astri più massicci devono necessariamente collassare in un buco nero. Questi buchi neri sono difficili da rivelare, a meno che non facciano parte di un sistema binario nel quale una stella normale garantisce un adeguato rifornimento di combustibile: in tal caso li vediamo grazie alla loro intensa emissione nei raggi X. Nei centri delle galassie, processi su scale inimmaginabili conducono alla formazione di buchi neri supermassicci, i quali talvolta si manifestano sviluppando la prodigiosa luminosità dei quasar o anche lanciando nello spazio i poderosi getti rivelati nelle radioonde.

La quantità di materia imprigionata nei buchi neri continuerà a crescere anche nel futuro cosmico di lungo periodo: inevitabilmente se ne formeranno sempre di più, e quelli esistenti continueranno a crescere attraverso la cattura di gas, di radiazione e, nel caso dei buchi supermassicci, persino di intere stelle.

16.1 Un universo aperto: la “morte termica” rivisitata

Ma che cosa possiamo dire del destino ultimo dell'universo intero? Ogni singola particella esistente esercita una forza gravitazionale su tutto ciò che la circonda e decelera l'espansione cosmica. Le previsioni a lungo termine dipendono, come abbiamo evidenziato nella precedente sezione, dal valore della densità media dell'universo: se cioè c'è abbastanza materia oscura da raggiungere la densità critica necessaria per fermare l'espansione e, magari, addirittura, per ribaltarla. Se la densità media fosse maggiore di circa 5 atomi per metro cubo (il valore esatto dipende da quello della costante di Hubble), la gravità riuscirebbe alla fine a bloccare l'espansione, e l'universo sarebbe destinato a ricollassare.

Su tali questioni le opinioni tra i cosmologi sono varie e mutevoli, ma pare che la maggioranza sia orientata a credere che nell’universo non ci sia abbastanza materia da fermare l’espansione, la quale verrebbe sì inesorabilmente rallentata, ma mai arrestata del tutto. Solo di recente i cosmologi si sono resi conto pure che la prevista “morte termica” dell’universo ossia lo stato futuro di massima entropia previsto in base al secondo principio della termodinamica (v. 4.1) potrebbe non aver luogo. L’entropia dell’universo continuerà ad aumentare, ma la massima entropia che esso può avere in ogni determinato istante aumenterà ancora più velocemente. Perciò il divario fra la massima entropia possibile e la reale entropia dell’universo si allarga continuamente, come mostra la fig. 36. Ciò significa che l’universo si allontanerà sempre più da quella situazione di equilibrio, con massima entropia possibile, che abbiamo indicato come “morte termica” dell’universo. Questa comunque, per qualche cosmologo, potrebbe configurarsi come un miscuglio straordinariamente diluito di fotoni, di neutrini e di un numero decrescente di elettroni e di positroni, i quali, con lentezza, si allontaneranno sempre più gli uni dagli altri. In base a questa visione, non dovrebbe prodursi alcun evento significativo, atto a interrompere la ‘tetra’ sterilità di un universo che ha compiuto il suo corso.

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Figura 36: Rappresentazione della concezione moderna della “morte termica”.

Se poi andiamo a stimare l'attuale entropia dell'universo, si scopre che essa è ancora incredibilmente bassa. Il cosmo, che pur si espande da 15 miliardi d'anni con un continuo aumento della sua entropia, sembra che si trovi sempre in uno stato ancora molto ordinato. È questo un vero enigma che comunque certamente mette in evidenza l'incompletezza dei calcoli sul valore attuale dell'entropia e, aggiungiamo noi, il carattere di congetture di questi scenari futuri.

16.2 Un universo chiuso: gli ultimi tre minuti

Nel caso opposto, qualora l'universo dovesse, da ultimo, cominciare a contrarsi, l'esito finale sarebbe ben diverso. I primi stadi della contrazione cosmologica non saranno affatto minacciosi. Come una palla che abbia raggiunto il culmine della sua traiettoria, l'universo comincerà a contrarsi molto lentamente. Supponiamo che il punto più alto venga raggiunto in un tempo di 100 miliardi di anni. Per il fatto che la luce impiega molti miliardi di anni per attraversare il cosmo, fra 100 miliardi di anni, i ‘futuri' astronomi non vedranno immediatamente la contrazione. Solo dopo alcune decine di miliardi di anni risulterà evidente una contrazione sistematica. Più facilmente riconoscibile sarà una sottile variazione della temperatura di quel residuo di big bang che è la radiazione cosmica di fondo.

Questa radiazione di fondo ha attualmente una temperatura di circa tre gradi al di sopra dello zero assoluto (3 K) e si raffredda via via che l'universo si espande. In cento miliardi di anni la temperatura sarà discesa fino a circa 1 K. Essa precipiterà quando l'espansione avrà toccato il punto più alto: non appena avrà inizio la contrazione, la temperatura comincerà a salire di nuovo e ritornerà a 3 K quando l'universo, contraendosi, avrà raggiunto la densità che ha oggi. Ci vorranno, per questo, altri cento miliardi di anni: l'ascesa e la caduta dell'universo sono approssimativamente simmetriche nel tempo. L'universo non collasserà dal giorno alla notte. Per decine di miliardi di anni i nostri discendenti saranno in grado di vivere bene la loro vita, anche dopo l'inizio della contrazione. La situazione non sarà, tuttavia, così rosea se la svolta dovesse avvenire dopo un tempo molto più lungo, per esempio fra un trilione di trilioni di anni. In tal caso, le stelle si saranno spente prima che l'espansione cosmica abbia toccato il culmine.

Quale che sia il momento, misurato in anni a partire da oggi, nel quale avverrà la svolta, dopo lo stesso numero di anni l'universo avrà riacquistato le sue proporzioni odierne. Ma il suo aspetto sarà molto diverso. Anche se la svolta dovesse avvenire fra 100 miliardi di anni, vi saranno molti più buchi neri e molte meno stelle di oggi. I pianeti abitabili saranno tenuti in grande considerazione. Nel tempo che l'universo impiegherà per ritornare alle sue presenti proporzioni, esso si contrarrà molto velocemente, dimezzando le sue dimensioni in circa tre miliardi e mezzo di anni e accelerando sempre più questo processo. Il bello comincerà, tuttavia, dopo circa dieci miliardi di anni dalla svolta, allorché l'aumento di temperatura della radiazione cosmica di fondo sarà diventato una seria minaccia. Quando la temperatura fosse arrivata a circa 300 K, un pianeta come la Terra troverebbe difficoltà a liberarsi dal calore; comincerebbe a riscaldarsi in modo continuo. Dapprima si scioglierebbero le calotte polari e i ghiacciai, poi comincerebbero a evaporare gli oceani. Quaranta milioni di anni più tardi, la temperatura della radiazione cosmica di fondo raggiungerebbe la temperatura media odierna della Terra. Pianeti simili alla Terra diventerebbero del tutto inospitali.

Naturalmente, la nostra Terra avrebbe già subìto tale destino, perché il Sole, espandendosi, sarebbe diventato una gigante rossa; ma per i nostri eventuali discendenti non vi sarebbe alcun altro luogo dove andare, alcun rifugio sicuro. La radiazione cosmica riempirebbe l'intero universo. Tutto lo spazio avrebbe una temperatura di 200 K, destinata ad aumentare ancora. Le galassie ancora esistenti non sarebbero più riconoscibili, perché si sarebbero ormai fuse tra loro. Invece, rimarrebbe ancora una grande quantità di spazio vuoto: le collisioni fra singole stelle sarebbero rare. Le condizioni dell'universo, nel suo progressivo avvicinarsi alla fase finale, diventerebbero sempre più simili a quelle che prevalsero poco dopo il big bang. Alla fine, la radiazione cosmica di fondo diventerà così intensa che il cielo notturno brillerà di una cupa luce rossa. L'universo si trasformerà in una gigantesca fornace cosmica che brucerà ogni fragile forma di vita, dovunque essa possa nascondersi, e spoglierà i pianeti della loro atmosfera.

A poco a poco, la luce rossa si trasformerà, in gialla e poi in bianca, finché l'implacabile radiazione termica diffusa in tutto l'universo minaccerà l'esistenza stessa delle stelle. Incapaci di irradiare all'esterno la loro energia, le stelle accumuleranno al proprio interno un calore sempre maggiore e alla fine esploderanno. Lo spazio si riempirà di gas incandescente (il plasma), brillando di luce sempre più fiammeggiante e diventando sempre più caldo. Via via che la velocità del cambiamento aumenta, le condizioni diventano sempre più estreme. L'universo comincia a mostrare notevoli cambiamenti dopo centomila anni, poi dopo mille, poi dopo cento anni, accelerando il suo moto verso la catastrofe totale. La temperatura aumenta fino a raggiungere milioni, poi miliardi di gradi. La materia che oggi occupa vaste regioni dello spazio si restringe in minuscoli volumi. La massa di una galassia occupa uno spazio di soli pochi anni luce di diametro.

Scoccano gli ultimi tre minuti.

La temperatura, infine, aumenta a un punto tale che gli stessi nuclei atomici si disintegrano. La materia si riduce a un “brodo” uniforme di particelle elementari. L'opera del big bang e di generazioni di stelle che hanno creato gli elementi chimici pesanti viene disfatta in un tempo inferiore a pochi minuti. I nuclei atomici, le strutture stabili che esistono forse da miliardi di miliardi di anni, vengono inesorabilmente frantumati. A eccezione dei buchi neri, tutte le altre strutture finiscono con l'essere annientate. L'universo presenta un aspetto di elegante, e sinistra, semplicità. Gli restano solo pochi secondi di vita. Mentre il cosmo collassa sempre più velocemente, la temperatura aumenta senza limiti a un ritmo sempre più frenetico. La materia viene compressa così fortemente che i protoni e i neutroni non esistono più in quanto tali: esiste solo un “brodo” di quark. E il collasso diventa ancora più rapido. La scena è ormai pronta per la catastrofe cosmica finale, che si verifica pochi microsecondi dopo. I buchi neri cominciano a fondersi gli uni con gli altri; le loro regioni interne differiscono ben poco dallo stato di collasso generale dell'universo. Esse sono ormai mere regioni spazio–temporali che sono arrivate alla fine pochissimo tempo prima e sono ora raggiunte dal resto del cosmo.

Negli istanti finali la gravità diventa la forza dominante in senso assoluto, che schiaccia inesorabilmente la materia e lo spazio. La curvatura dello spazio–tempo aumenta in modo sempre più rapido. Sempre più vaste regioni dello spazio vengono compresse entro volumi sempre più piccoli. Secondo la teoria convenzionale, l'implosione diventa infinitamente forte, schiacciando tutta la materia e annientando ogni realtà fisica, compresi lo spazio e il tempo, in una singolarità spazio–temporale.

È la fine. Il Big Crunch, il “grande stritolamento”, nella misura in cui siamo in grado di intenderlo, non è soltanto la fine della materia. È la fine di tutto. Poiché il tempo stesso finisce al momento del Big Crunch, è privo di significato domandarsi che cosa possa accadere dopo, così come è privo di significato chiedersi che cosa accadeva prima del big bang. Non esiste nessun “dopo” nel quale possa accadere alcunché: non vi è nessun tempo neppure per l'inattività, nessuno spazio neppure per il vuoto. Un universo nato dal nulla al momento del big bang scomparirà nel nulla al momento del Big Crunch: dei suoi gloriosi miliardi e miliardi di anni di vita non resterà neppure il ricordo.

Dovremmo lasciarci deprimere da una simile prospettiva? Che cos'è peggio, un universo che lentamente degenera e si espande incessantemente verso uno stato di freddo vuoto e di tenebra, o un universo che implode e finisce nel più totale oblio? E quali speranze di immortalità abbiamo attualmente, in un universo destinato a finire nel tempo?

Quando noi uomini diamo inizio consapevolmente a un progetto, abbiamo in mente uno scopo specifico. Se l'obiettivo non viene raggiunto, il progetto è fallito (anche se l'esperienza può non essere stata inutile). Se invece, l'obiettivo viene conseguito, il progetto è realizzato e l'attività cessa.

Se l'universo ha uno scopo, e lo consegue, allora esso deve finire, perché una sua ulteriore esistenza nel tempo sarebbe gratuita e priva di senso. Se invece, l'universo è eterno, è difficile immaginare che esso abbia uno scopo qualsiasi. Perciò, la morte del cosmo potrebbe essere il prezzo da pagare per il successo cosmico. Oggi, possiamo tutt'al più sperare che i nostri discendenti arrivino a conoscere lo scopo dell'universo prima che scadano gli ultimi tre minuti.

L’ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi possibili;
e il pessimista sa che è vero.

Robert Oppenheimer