Lezione 3: le GALASSIE

La scorsa lezione abbiamo discusso delle stelle, della loro nascita e della loro evoluzione, fino a descrivere i possibili scenari della loro fine che, se talvolta si accompagna ad un lento e graduale spegnimento, altre volte si consuma in poche ore con la quasi totale annichilazione del globo originario. La prospettiva mirava ancora all’analisi delle singole stelle, dei fenomeni ad esse connessi, della loro struttura interna, e anche quando si è allargato lo studio al diagramma HR ciò si giustificava in quanto si voleva riassumere la storia individuale delle stelle.

In questo terzo incontro invece amplieremo di molto la prospettiva così da fare un altro significativo passo nella comprensione delle diverse strutture che l’universo ci propone. Detto in altro modo, questa sera vogliamo allontanarci dalle singole stelle e assumere una visuale più ampia: sarà come passare da un'osservazione di tipo microscopico dell’“organismo universo” ad un punto di vista macroscopico, il solo che può fornire la chiave corretta per collocare quei nuovi elementi celesti che sono le galassie.

In particolare si intende presentare:

la Via Lattea,
le forme più comuni delle galassie,
le particolarità dei nuclei galattici,

e come nei precedenti incontri, concluderemo l’esposizione accennando alle moderne interpretazioni della formazione ed evoluzione delle galassie.

La Galassia

Se in una limpida serata estiva senza Luna diamo uno sguardo al cielo possiamo vedere come questo sia solcato da una fascia più chiara che fa da sfondo alle altre stelle più luminose. È la Via Lattea. Galileo, che per primo la osservò con il cannocchiale, si accorse immediatamente che la debole luce caratteristica della Via Lattea non era altro che il risultato del contributo di così tante stelle che risultava impossibile contarle.2

Lo studio di quella classe di oggetti che si indicavano col vecchio termine di nebulose spirali e l’osservazione in questi sistemi di stelle con caratteristiche simili a quelle vicine al Sole, permise nel secondo decennio del nostro secolo di stabilire definitivamente che la Via Lattea, il nostro Sole, e tutte le stelle visibili nel cielo notturno fanno parte di una vasta aggregazione di stelle chiamata Galassia. A loro volta, data la loro distanza, le nebulose spirali da allora dette galassie non erano altro che raggruppamenti di stelle analoghi alla nostra Galassia (con la G maiuscola per distinguerla quindi dalle altre).

Oggi è un fatto acquisito che la Galassia ha la forma di un disco molto schiacciato che definisce un piano, l’ equatore galattico, il cui diametro è di almeno 100.000 anni luce mentre lo spessore, là dove si trova il Sole, a circa 27.000 anni luce dal centro, non supera i 1000 anni luce: al centro, il rigonfiamento galattico, raggiunge i 15.000 anni luce. Vista di taglio la Galassia ricorda un fuso mentre vista di fronte ci apparirebbe come un’enorme ruota, dal centro della quale partono almeno due paia di bracci spirale (figg. 1 e 2).


Fig. 1. Schema della Galassia come apparirebbe se vista di profilo e di fronte.

È per questa forma a disco che la distribuzione delle stelle nello spazio non risulta omogenea per cui quando la nostra visuale è diretta lungo il piano del disco si vede un gran numero di stelle, ovvero la Via Lattea.

Quando invece si guarda in direzione normale al disco, appaiono nella nostra linea visuale molte meno stelle.

Così la Via Lattea è la Galassia stessa, e la debole banda luminosa segna il piano del disco galattico. La struttura a spirale del disco è immersa in una tenue nube di stelle e di ammassi di stelle, di forma sferica, chiamata alone galattico.



Fig 2. Struttura spirale della Galassia come dedotta dall’osservazione radio.

Ammassi globulari

Gli ammassi di stelle, detti per la loro forma ammassi globulari, sono grandi famiglie di stelle, addensate le une vicino alle altre a formare una sfera luminosa. Le singole stelle sono visibili solo verso la periferia dell’ammasso, mentre nella parte centrale è impossibile distinguerle separate. Ogni ammasso può contenere da centomila ad anche un milione di stelle. Si conoscono più di centocinquanta ammassi, ma è probabile che il numero sia maggiore in quanto molti di essi potrebbero essere nascosti dalle polveri che ostacolano la visuale in direzione del centro galattico. Poiché il diametro di un ammasso globulare è dell’ordine di un centinaio di anni luce, la distanza media di una stella dall’altra può variare fra mezzo e due anni luce circa.

Nei dintorni del Sole la distanza media è almeno dieci volte più grande, e quindi la densità di stelle in un dato volume è mille volte più piccola. Un ipotetico abitante di un pianeta in orbita attorno ad una stella in un ammasso globulare disporrebbe ogni notte di un cielo fittamente cosparso di stelle, come se la Via Lattea si fosse allargata a coprire tutta la volta celeste!

Gli ammassi globulari più brillanti sono quelli di Omega Centauri e 47 Tucanae, entrambi nell’emisfero australe; nell’emisfero boreale, il miglior esemplare è M 13, nella costellazione di Ercole. Visti a occhio nudo o con un piccolo binocolo, questi oggetti appaiono come macchie di luce debolmente splendenti. Con un telescopio di modeste dimensioni si cominciano a risolvere alcune giganti rosse, che danno all’ammasso un aspetto picchiettato. Come vedremo successivamente, si ritiene che gli ammassi globulari si siano formati agli inizi della storia della Galassia. Difatti essi contengono alcune delle più antiche stelle conosciute, vecchie di 12 miliardi di anni, più di due volte l’età del Sole.

Le osservazioni da satelliti per raggi X hanno scoperto negli ammassi numerose sorgenti di tali radiazioni: probabilmente stelle di neutroni appartenenti a sistemi binari, e anche numerose pulsar con periodi di qualche millesimo di secondo. Queste sorgenti appaiono, ma la ragione non è ancora conosciuta, molto più numerose che non nel resto della Galassia.

Polveri

Sul disco, oltre alle stelle, abbonda la materia interstellare, composta di gas e minuscole particelle solide, le polveri, sia diffusa uniformemente, sia addensata in nubi più o meno estese. La polvere consiste di minuscole particelle solide, agglomerati di molecole formati dagli elementi più abbondanti: ghiaccioli con impurità di composti ferrosi, silicati, grafite, tutti con dimensioni inferiori al micron (cioè al millesimo di millimetro, 1,0-6 metri). E il cosiddetto mezzo interstellare. Vista di profilo, la Galassia presenterebbe una striscia luminosa tagliata a metà da una fascia oscura: la luce delle stelle addensate sul disco è infatti assorbita dalle polveri che sono ancora più strettamente concentrate sul disco.

Ammassi aperti

Famiglie di stelle o ammassi si trovano pure sul disco. A differenza di quelli globulari, essi sono però molto meno fittamente popolati. I loro membri possono essere qualche decina o anche parecchie centinaia, ma sempre molto al di sotto delle centomila o un milione di stelle degli ammassi globulari. Inoltre le stelle sono molto meno addensate (e perciò sono chiamati ammassi aperti), la loro appartenenza all’ammasso è spesso incerta e indicata dal fatto che i membri dell’ammasso possiedono moti comuni cioè si muovono nello spazio nella medesima direzione e con velocità che sono circa le stesse.

Popolazioni di stelle

Le stelle nella Galassia sono quindi distribuite in modo abbastanza poco omogeneo. Comunque grazie a diverse tecniche, misura dei movimenti propri, delle velocità, delle distanze, è possibile distinguere varie popolazioni di stelle che, oltre a criteri puramente geometrici (appartenenza al disco o all’alone) si differenziano anche per particolarità fisiche. Gli astronomi usano chiamare popolazione I quella caratteristica del disco galattico, popolazione II quella tipica dell’alone e degli ammassi globulari. Si deve comunque notare che due regioni della Galassia sono parzialmente escluse da questa classificazione: le stelle ai confini esterni della Galassia e lo stesso centro della Galassia. Questa è una regione un po’ a parte dove le stelle che vi si trovano sono avvolte da una importante nube di polvere e di molecole, di massa 107 volte la massa del Sole: questa massa è in espansione veloce (qualche migliaio di km al secondo) ed è senza dubbio la parte più attiva della Galassia. Se si considera la natura fisica delle stelle delle varie popolazioni, ci si accorge che le stelle del disco sono molto più ricche in metalli delle stelle dello stesso tipo dell’alone galattico e degli ammassi globulari.

Rotazione

L’analisi dei moti stellari permette di dedurre le caratteristiche generali del movimento d’insieme della Galassia. Questa è in rotazione: il Sole, a circa due terzi dal centro galattico, vi gira attorno con velocità dell’ordine di 200 km/s. La Galassia non gira come un corpo solido poiché la rotazione delle regioni più vicine al centro è nettamente più veloce di quella delle regioni periferiche. In base a ciò si può risalire alla massa complessiva della Galassia e si trova una massa di 2 × 1011 masse solari e cioè 200 miliardi di volte la massa del Sole. Ora, poiché il conteggio delle stelle e dei materiali interstellari permette di ottenere soltanto un quarto di tale valore, sembra che una parte importante della massa galattica sia inosservabile. In effetti solo da pochi anni si è trovata l’evidenza che nell’alone vi è una gran quantità di materia che non emette né luce nè altre radiazioni elettromagnetiche, ma che comunque si fa sentire per la sua azione gravitazionale sulla legge di rotazione delle stelle e del mezzo interstellare. Ma quale sia la natura di questa materia è ancora un problema aperto.

Le galassie

La nostra Galassia è popolata da almeno 300 miliardi di stelle, ma l’universo di cui fa parte contiene miliardi di galassie. Solo tre di queste sono visibili ad occhio nudo, la Grande e la Piccola Nube di Magellano visibili dall’emisfero meridionale e la galassia di Andromeda, una debole macchia sfumata visibile nel cielo autunnale. Tutte le altre galassie sono oggetti telescopici. Alcune sono galassie nane, composte da meno di un miliardo di stelle, altre sono giganti, dieci volte più ricche di stelle della nostra. Alcune hanno una forma sferica o ellittica, le stelle sono fittamente addensate verso il centro e non si nota traccia di polveri e gas interstellari. Somigliano a dei giganteschi ammassi globulari. Altre hanno un nucleo centrale da cui si snodano due o più bracci spirale e la maggior parte delle stelle e del mezzo interstellare giace su un disco molto sottile rispetto al suo diametro. Ve ne sono altre che hanno il nucleo traversato da una specie di barra dalle cui estremità si staccano le braccia spirali, altre ancora hanno una forma completamente irregolare.

Le dimensioni delle galassie possono variare da 10.000 anni luce a 200.000 o più anni luce, ma tutte sono separate fra loro da distanze che si contano a milioni di anni luce. Di qui il nome che fu dato loro negli anni ’20 di “universi isole”. Alla fine del 1990, è stata annunciata la scoperta di una galassia dalle dimensioni eccezionali con un diametro di quasi sessanta volte quello della Via Lattea. E probabile che, trovandosi al centro di un ammasso di galassie (noto come Abell 2029) sia andata gradualmente aggregando delle galassie minori orbitanti attorno al centro dell’ammasso, raggiungendo così dimensioni tanto eccezionali.

Notiamo dunque che, come le stelle di una galassia sono raggruppate in ammassi così, a loro volta, le galassie sono raggruppate in ammassi più o meno grandi. L’universo contiene quindi una serie di strutture che vanno dalle più piccole, le stelle coi loro eventuali cortei di pianeti, separate le une dalle altre da distanze che in media sono pari a 100 milioni di volte il loro diametro medio, alle strutture più grandi, gli ammassi di galassie, i cui diametri sono pari a decine di milioni di anni luce e separati tra loro da distanze dieci volte maggiori. E forse anche gli ammassi fanno parte di ammassi di ammassi, i quali invece quasi si toccano, cosicché è molto difficile dire dove cominci l’uno e termini l’altro. Questa serie di strutture gerarchiche deve avere a che fare con i processi di formazione di questi agglomerati di materia da un universo primordiale, originariamente uniforme. Ma come ciò possa essere avvenuto è ancora uno dei maggiori problemi dell’astrofisica e della cosmologia. Su questo punto torneremo comunque parlando dell’evoluzione galattica.


Le forme

Chiunque cerchi di capire le galassie le deve prima classificare, e il modo più ovvio per fare ciò è di basarsi sul loro aspetto. Si assume perciò che galassie di aspetto simile siano simili anche sotto altri punti di vista: dimensioni, luminosità totale, contenuto di stelle, e storia evolutiva. Ciò è evidentemente una approssimazione ma fornisce almeno un accettabile punto di partenza.

La classificazione più corrente, ancora attuale, resta quella di Edwin Hubble fatta negli anni ’20, che distingueva tre gruppi principali di galassie (fig. 3): le spirali (Sa, Sb, ...), le ellittiche (E0, E 1, ...) e le spirali barrate (SBa, SBc, ...). Vi è poi un’altra classe di galassie, generalmente molto estese e di grande massa con un corpo centrale ellittico, ma circondate da un esteso disco di stelle e materia interstellare, senza alcuna struttura spirale che costituisce la transizione tra le forme ellittiche e spirali: sono le cosiddette galassie lenticolari o S0. Infine le galassie irregolari non rientrano, per definizione, in alcuna classificazione.


Fig. 3. La classificazione di Hubble delle forme delle galassie.

A questa classificazione, puramente morfologica, se ne sono aggiunte delle altre basate sulla luminosità o su altri parametri fisici: oggi comunque si parla di galassie normali e di radiogalassie, di galassie con nuclei attivi, di quasar, di BL Lacertae, . . . . Senza entrare nei particolari presentiamo solo una breve descrizione delle forme più comuni.

Galassie ellittiche

Benché le galassie spirali siano le più conosciute e in qualche modo più familiari delle ellittiche (quante volte abbiamo ammirato le loro splendide foto in qualche libro o rivista?), sono queste ultime le più numerose. Le più importanti hanno massa di 10.000 miliardi di volte la massa solare (o 1013 Mo) e un diametro di 300.000 anni luce. Ancora più comuni sono le galassie ellittiche nane, che hanno una massa di soli 106, 107 Mo e un diametro di 5.000, 6.000 anni luce. Le galassie ellittiche E7, classificate vicino alle lenticolari hanno aspetto molto allungato, mentre l’aspetto diventa progressivamente più sferico verso le E0. Si noti comunque che l’appiattimento può essere solo un fenomeno apparente: difatti una galassia appiattita, se vista in qualche modo di fronte, avrà spesso l’aspetto di una galassia sferica.

Galassie a spirale

Le galassie a spirale hanno un aspetto molto simile a quello della nostra Via Lattea e sono sovente più luminose delle ellittiche. La galassia Messier 51, una famosa spirale, mostra una spirale un po’ più aperta della nostra ma l’aspetto complessivo è simile. Come le braccia della nostra galassia, le braccia della spirale di Messier 51 contengono una grande quantità di gas, polvere e stelle giovani. In generale le braccia possono srotolarsi con un angolo di apertura più o meno grande. Le dimensioni corrispondono a diametri da 30.000 ai 100.000 anni luce, con masse fra 109 e 1011 masse solari.

Un terzo delle galassie spirali ha strutture abbastanza curiose; invece di svolgersi a partire dalle regioni centrali, le braccia sfuggono a partire da una specie di barra, pressoché ad angolo retto da questa. Sono appunto le spirali barrate.

Il nucleo

Nelle galassie esterne simili alla nostra, il centro galattico è immerso in un nucleo centrale ricco di stelle e materia interstellare. In molte galassie questi nuclei sono detti “attivi”, ossia contengono delle sorgenti di piccole dimensioni ed estremamente energetiche. Ma cosa ci sia al centro della nostra Galassia è ancora un mistero sebbene qualche indizio aiuta ad avvicinarci alla realtà. Scopriremo che le galassie non si limitano a produrre solo luce stellare ma contengono, nel loro nucleo, oggetti che producono anche altri tipi di radiazione, spesso molto più importanti che la radiazione visibile.

La distesa di polveri addensata sul piano della Galassia impedisce alla nostra visuale di estendersi oltre una decina di migliaia di anni luce. Così le osservazioni ottiche non possono dirci che cosa ci sia al centro della Galassia. Infatti l’effetto delle polveri è tale che, su 100 miliardi di fotoni ottici1 provenienti dalle regioni centrali, solo uno riesce a raggiungere i telescopi. Oggi però e` possibile studiare questa regione in maniera abbastanza approfondita grazie a recenti scoperte e sviluppi tecnologici, soprattutto al miglioramento delle tecniche di analisi delle onde radio e della radiazione infrarossa e ai satelliti, che hanno permesso di rilevare i raggi X di alta energia e i raggi gamma provenienti dal centro galattico.

Tutte queste forme di radiazione – le onde radio, i raggi infrarossi, i raggi X e i raggi gamma – sono affini alla luce visibile: si tratta sempre di radiazioni elettromagnetiche, diverse solo per la lunghezza d’onda e contenuto di energia. A differenza della luce visibile però, queste forme di radiazione riescono ad attraversare con relativa facilità le nubi di polvere interstellare e quindi offrono una “finestra” di osservazione sulla struttura e sulla dinamica del centro galattico. Ciascuna regione delle spettro elettromagnetico permette di esaminare aspetti fisici diversi dell’ambiente del centro galattico: i raggi X, per esempio, vengono emessi da gas molto caldi, mentre gran parte della radiazione infrarossa è prodotta da granuli di polvere interstellare e da gas più freddi.

Misure abbastanza precise dell’intensità delle emissioni radio nella regione più interna della Galassia (in un raggio di 10 anni luce dal centro) mostrano che gran parte della materia che vi si trova è disposta in getti e archi, interpretabili come il risultato dell’espulsione di materia dal centro o della sua caduta da un'orbita più esterna. Un oggetto molto piccolo situato quasi esattamente al centro della Galassia, Sagittarius A (abbreviato Sgr A ), appare come una radiosorgente particolarmente intensa. Le sue dimensioni, la sua intensità e la relativa costanza della sua emissione ne fanno un caso unico tra le sorgenti galattiche conosciute.

Sgr A è circondato da un involucro di nubi molecolari che formano una specie di cavità attorno ad esso. Al gas molecolare (prevalentemente di acido cianidrico, HCN) sono mescolati carbonio e ossigeno allo stato atomico, in parte eccitati dalla radiazione ultravioletta. Questa struttura ruota attorno al centro galattico alla velocità di 110 km/s e il gas che la costituisce è caldo. Tutta questa regione centrale è stata evidentemente sede di una perturbazione violenta avvenuta in tempi relativamente recenti come, per ipotesi, una violenta emissione di energia dal centro o una caduta di materia dall’esterno.

A scala più ampia, le misurazioni sull'addensamento di stelle nella regione centrale dimostrano che la densità di queste è piuttosto alta e cresce avvicinandosi al centro. In queste condizioni la distanza media tra le stelle è forse un trecentesimo di quella fra il Sole e la stella più vicina e quindi, a seguito delle notevoli influenze gravitazionali, queste dovrebbero possedere una velocità di rotazione attorno al centro abbastanza simile. Al contrario la velocità delle stelle e del gas cresce in maniera assai rapida procedendo verso il centro esatto della Galassia. In base a modelli teorici, la distribuzione di queste velocità è quella che si avrebbe se la regione compresa entro uno o due anni luce dal centro contenesse una massa pari a tre o quattro milioni di volte quella del Sole, un valore notevolmente superiore a quello prevedibile ammettendo che in essa si trovino solo stelle.
Ad un analogo risultato si giunge se si calcola, in base alla quantità di materia che sta cadendo verso il centro, quanta massa debba esservi accumulata.

Tutto ciò fa quindi sorgere un problema e cioè come abbia potuto una massa così grande accumularsi in una regione relativamente piccola mantenendosi invisibile. La risposta più ovvia è ammettere che abbia formato un buco nero. In effetti questa sembra l’ipotesi più probabile: in base alle conoscenze attuali, l’unico oggetto capace di esercitare l’attrazione gravitazionale osservata pur mantenendosi invisibile è un buco nero di circa tre milioni di masse solari.
Nonostante l’entità della massa, questo buco nero potrebbe essere molto piccolo: il “raggio” di un tale buco nero non supererebbe quello del Sole.

Si tratterebbe quindi di un oggetto poco appariscente, una sorta di ago nel pagliaio del brulichio di stelle in prossimità del centro galattico. La sorgente Sgr A compatta e assai intensa, sembra quindi un valido candidato al ruolo di buco nero.


L’evoluzione

Se la formazione, evoluzione e fine delle stelle è ben compresa, anche nei dettagli, lo stesso non si può dire delle galassie. E che sia così lo si può capire facilmente. Prima di tutto, le galassie sono tanto lontane che solo con gli strumenti più potenti se ne possono studiare le caratteristiche. La stragrande maggioranza ci appare infatti come una macchiolina indistinta, in cui non è possibile distinguere le singole stelle. In aggiunta, sappiamo che le stelle non son altro che delle sfere gassose, e il gas è lo stato fisico più semplice in cui si trova la materia. Praticamente, la massa della stella è quella che determina tutta la sua vita.

Le galassie al contrario, sono organismi complessi, formati da miliardi di stelle, da polveri e gas interstellari e percorsi da campi magnetici. La diversità delle galassie è grandissima e la loro classificazione dipende da parametri tanto numerosi che si fatica a tracciare diagrammi con significato evolutivo così semplice come nel caso del diagramma HR per le stelle.

In una galassia come la nostra sono comunque numerosi i segni, in qualche modo “fossili”, di un'evoluzione passata. Le differenze sistematiche di abbondanza fra le stelle dell’alone e quelle del disco (queste ultime contenenti da cento a mille volte più elementi pesanti delle stelle dell’alone) sono evidenti segni di una diversa storia evolutiva. Anche la distribuzione quasi sferica degli ammassi globulari e delle stelle dell’alone, si deve considerare come risultante da questa evoluzione, proprio come la distribuzione molto appiattita delle stelle di popolazione I del disco.

L’alone si sarebbe formato molto tempo fa, miliardi di anni, per cui la popolazione stellare che lo forma avrebbe la stessa età della Galassia; nell’alone mancano difatti le polveri e il gas e perciò nessun’altra stella potrà formarsi. Nel piano galattico invece le stelle si formano continuamente, specie nei bracci spirale, e lì convivono stelle vecchie e stelle giovanissime. Questa diversa età che caratterizza le due popolazioni è spiegata pensando al modo in cui può essersi formata la Galassia. Vediamone i tratti principali (fig. 4).

Probabilmente la Galassia nasce sotto forma di una nube protogalattica grossolanamente sferica e ruotante costituita essenzialmente da addensamenti di idrogeno ed elio. Quando l’azione gravitazionale di questi addensamenti supera la tendenza all’espansione, la nube comincia a collassare. Raggiunta una certa densità cominciano a formarsi le stelle: così gli ammassi e le stelle (dell’alone) che via via si formano in questa fase mantengono la distribuzione spaziale posseduta dalla protogalassia al momento in cui si sono formati. Essi avranno dunque distribuzioni ellittiche sempre più schiacciate via via che la protogalassia si appiattisce. In effetti gli ammassi globulari che noi osserviamo hanno mantenuto la distribuzione spaziale tipica della protogalassia e ciò è stato possibile in quanto le distanze che li separano uno dall’altro sono tanto grandi rispetto al loro diametro, che nessuna interazione di tipo gravitazionale può essere fra loro possibile.

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Fig. 4. Sintesi schematica dell’evoluzione di una galassia spirale.

Le masse gassose restanti, che ruotano attorno al centro galattico, entrano gradualmente in collisione cosicché la nube va appiattendosi per effetto della rotazione e il gas finisce per disporsi in un disco rotante.

A questo punto tutto il gas sarà confinato sul disco e solo lì avremo le stelle dell’ultima generazione. Intanto, le stelle più massicce e luminose delle prime generazioni avranno terminato la loro evoluzione e avranno arricchito il mezzo interstellare di elementi pesanti sintetizzati nel loro interno e scaraventati nello spazio o attraverso le esplosioni di supernovae o tramite più tranquilli e costanti venti stellari. Da questo mezzo arricchito si formano le stelle delle generazioni successive.

Assisteremo quindi ad un'evoluzione chimica della Galassia, con le stelle più vecchie e più distanti dal piano galattico e più povere di elementi pesanti. Come già detto quelle più giovani del disco formano la popolazione I mentre quelle vecchie dell’alone sono tipiche della popolazione II. In queste antiche stelle gli elementi pesanti sono da cento a diecimila volte meno abbondanti che nel Sole e nelle altre stelle del disco.

Gli ammassi globulari sono perciò tutti di antica formazione e le stelle che li compongono mostrano età comprese fra i 12 e i 15 miliardi di anni. Queste stelle oggi ormai vecchie, mostrano la composizione quasi originale del gas al momento della contrazione della sfera di gas protogalattico.

La presenza dei bracci spirale in questo processo viene spiegata come una conseguenza dell’interazione tra il gas residuo e le stelle che si vanno formando. In particolare in corrispondenza dei bracci spirale si ritiene esistano delle onde di densità, forse provenienti dal centro galattico, che comprimono il gas e che determinano la formazione delle varie generazioni di stelle. Si ritiene infatti che quando tutto il gas sarà stato rimosso o a opera della formazione di stelle o per effetto dei venti galattici, spariranno i bracci a spirale brillanti definiti dalle stelle appena formate. Gradualmente in un tempo compreso tra mezzo miliardo e un miliardo di anni questi tenderanno a dissolversi e la Galassia finirà per assomigliare a quelle lenticolari di classe S0. Queste ultime infatti mostrano l’assenza di stelle giovani.

Analoghe tracce evolutive si possono proporre per l’evoluzione di tutte le galassie a disco, tenendo comunque in considerazione che le dimensioni relative del disco e della protuberanza del nucleo dipendono dall’efficienza del processo di formazione stellare nelle prime fasi del collasso della nube protogalattica.

Difatti se gran parte della nube si trasforma in stelle fin dall’inizio, resterà poco gas per formare un disco. Pertanto il sistema avrà in questo caso una protuberanza centrale notevole e un disco piccolo.

Va comunque sottolineato ancora che le teorie dell’evoluzione galattica sono attualmente molto incerte e parziali per cui numerosi problemi di fondamentale importanza rimangono ancora aperti. Per esempio, le galassie di un dato tipo sono sostanzialmente simili tra loro oppure, pur avendo un aspetto analogo, differiscono in modo apprezzabile per l’appartenenza o meno ad un ammasso di galassie? La formazione stellare e l’evoluzione dinamica delle galassie in un ammasso sono diverse da quelle delle galassie non appartenenti ad ammassi? Le risposte a queste domande sono importanti non solo per la comprensione dell’evoluzione delle galassie, ma anche perché potranno permettere di sondare la struttura a larga scala dell’universo.

Frequently Asked Questions

FAQ

D.01. Quante stelle ci sono nella Via Lattea?

La risposta a questa domanda non si può basare su un effettivo conteggio delle stelle ma su una stima statistica cioè su una estrapolazione di quanto si conosce. Innanzitutto va tenuto presente che non è possibile vedere tutte le singole stelle della Via Lattea e ciò per due motivi: la distanza e l’assorbimento da parte delle polveri.

Entrambi questi fattori tendono a rendere le stelle più deboli e quindi meno osservabili. Le osservazioni nella componente visibile della luce, quella per intenderci dove si usano i telescopi, sono limitate ad una regione di più o meno 5000 anni luce di raggio centrata sul Sole ad eccezione di alcune “finestre” dove le polveri sono più rare per cui è possibile intravvedere stelle più lontane. Corrispondentemente la mappa della Galassia diventa sempre più imprecisa all’aumentare della distanza. A ciò va aggiunto il fatto che le stelle osservabili a grandi distanza sono quelle più luminose ma queste sono anche le più rare. Per esempio, conteggi sul numero relativo di stelle con magnitudine assoluta diversa mostrano che per ogni stella simile al nostro Sole, ci sono circa 200 deboli stelle del tipo spettrale M. Queste sono così deboli che per poter osservare la più vicina, Proxima Centauri, è necessario un piccolo telescopio o almeno un binocolo abbastanza luminoso, nonostante sia questa la stella in assoluto più prossima al Sole.

Così per poter risalire al numero totale di stelle nella Via Lattea, va prima rilevato il numero delle stelle più luminose che si possono osservare a grandi distanze e quindi assumere il numero di stelle più deboli da associare a queste. Su tali supposizioni si basano le recenti stime di 400 × 109 di stelle con un errore che comunque si aggira sul 50% in più o meno. Va infine aggiunto che molte stelle, le strane “nane brune”, potrebbero sfuggire a un tale conteggio a causa ancora della loro luminosità estremamente bassa.

D.02. Quante galassie ci sono nell’universo?

Le recenti osservazioni (1996) da parte del Telescopio Spaziale Hubble hanno evidenziato l’esistenza di un rilevante numero di nuove galassie. La scoperta quindi di molte galassie troppo deboli per essere rilevate da terra non è una sorpresa ma questi dati permettono nuove stime sulla distribuzione delle galassie, in particolare di quelle di bassa luminosità. Difatti i calcoli sul numero di galassie presenti nell’universo osservabile devono tener conto di fattori analoghi a quelli validi per le stelle (vedi faq precedente), cioè della luminosità assoluta delle galassie e della loro distanza.

Comunque il conteggio delle galassie basato su quanto rilevato da “Hubble” in una zona quadrata di cielo di 0,04 gradi di lato mostra la presenza di circa 3000 galassie. Ora le dimensioni di un tale “tassello” di cielo sono tali che ne sono necessari 27 milioni per poter dire di aver “esplorato” l’intero cielo. Ignorando il fattore dell’assorbimento da parte delle polveri della nostra Galassia, e supponendo che le galassie si distribuiscano nell’universo in modo eguale in tutte le direzioni (non c’è motivo di pensare il contrario), potremo concludere che “Hubble”è in grado di rilevare la presenza di 80 × 109 di galassie.

Di fatto, il numero dev’essere ancora maggiore dato che le galassie più frequenti nei dintorni della nostra hanno una luminosità abbastanza debole cosicché queste risultano difficilmente osservabili a distanze cosmologiche cioè a distanze confrontabili con quelle dell’universo conosciuto. Per esempio, nel nostro gruppo locale, ci sono 3 o 4 galassie giganti rilevabili a miliardi di anni luce e più (Andromeda, la Via Lattea, la galassia del Triangolo e forse la Grande Nube di Magellano). Comunque ci sono almeno altri 20 membri più deboli che risulterebbero difficili da rilevare a distanze di 100 milioni di anni luce, molto minori dei miliardi di anni luce delle altre più luminose.

D.03. Quanti ammassi globulari possiede la Via Lattea?

La stima del numero di ammassi globulari legati gravitazionalmente alla Via Lattea è, diversamente dal numero delle stelle, più sicura in quanto questi sono abbastanza grandi e luminosi. I soli posti dove il conteggio è incompleto riguarda quelle regioni prossime al disco galattico dove sono presenti grande quantità di polveri che ostacolano l’osservazione degli ammassi più deboli e più lontani dalla Via Lattea. La versione elettronica del catalogo degli ammassi stellari del 1981 lista 137 ammassi globulari presenti nella, e attorno alla, Via Lattea. Recentemente ne sono stati aggiunti degli altri localizzati specialmente nelle regioni più arrossate ed interne della Galassia. Una stima grossolana che tenga comunque conto anche di quelle regioni dove l’osservazione non è sempre possibile, pone il numero totale di ammassi globulari a 200: in confronto, la galassia di Andromeda che è più grande e luminosa della nostra, ne possiede circa 250.

D.04. Quanti ammassi aperti vi sono nella Via Lattea?

Ancora, per rispondere con un numero, è necessario compiere una estrapolazione dato che gli ammassi aperti possono essere difficili da trovare specie sullo sfondo dei ricchi campi stellari nel piano della Via Lattea e in particolare, poiché i più ricchi ammassi possono essere riconosciuti molto più facilmente di quelli poveri di stelle. Comunque il catalogo elettronico degli ammassi aperti nella versione del 1987 lista 1111 ammassi aperti nella nostra galassia. Però il numero totale dev’essere almeno 10 volte tanto, dato che vi sono indicazioni dell’esistenza di ricchi ammassi più lontani di 7000 anni luce anche nelle direzioni del piano galattico che intersecano le dense nubi di polveri che ne impediscono l’osservazione. L’effetto delle nubi è particolarmente rilevante in questo caso in quanto gli ammassi di giovani stelle sono fortemente concentrati su questo piano.

D.05. Che cosa sono le cefeidi?

Le variabili cefeidi sono stelle relativamente giovani, di massa diverse volte superiore a quella del Sole, la cui luminosità varia con andamento periodico, aumentando rapidamente per poi affievolirsi in modo graduale.

Queste stelle pulsano perché la forza di gravità, dovuta alla grande massa, che agisce sull'atmosfera stellare e la pressione dei gas caldi all’interno della stella non si equilibrano esattamente.

A che cosa è dovuto questo squilibrio? Un componente importante dell’atmosfera delle cefeidi è l’elio ionizzato una volta cioè l’atomo di elio, che normalmente presenta due elettroni, è stato privato di un elettrone. Ora questi atomi assorbono e diffondono la radiazione proveniente dall’interno della stella e così facendo possono perdere un secondo elettrone. L’atmosfera diventa allora più opaca, e la radiazione la attraversa con maggiore difficoltà. Questa interazione tra radiazione e materia dà origine a una pressione che spinge verso l’esterno l’atmosfera della stella, facendo così aumentare la luminosità e le dimensioni di quest'ultimo.

Ma, per quanto detto circa l’equilibrio esistente in una stella, nel corso dell’espansione l’atmosfera che circonda la stella si raffredda, e a temperature inferiori l’elio torna al proprio stato in cui è ionizzato una volta. L’atmosfera, quindi, ridiventa più trasparente e la pressione esercitata su di essa diminuisce. Alla fine del ciclo la stella si contrae fino a riassumere le dimensioni e la luminosità originarie, dopodiché il ciclo della variabile cefeide riprende normalmente il suo corso.

Il comportamento delle variabili cefeidi può essere previsto con precisione estrema grazie a modelli teorici che descrivono l’evoluzione dell’interno delle stelle e a simulazioni del flusso di radiazione attraverso di esse. In particolare esiste una ben nota correlazione tra il periodo di variabilità e la loro luminosità (magnitudine) assoluta cosicché se si rileva il periodo di variazione si può risalire alla magnitudine assoluta e quindi (nota quella visuale) determinare la loro distanza.

Oggi gli astronomi annoverano queste stelle tra gli indicatori più affidabili delle distanze cosmiche.

D.06. Come viene misurata la distanza delle galassie?

Gli astronomi hanno elaborato vari metodi per misurare la distanza di galassie lontane; molti di essi sono considerati indicatori indiretti della distanza perché vanno calibrati utilizzando la scala delle cefeidi (vedi faq precedente) ma le tecniche adottate diventano sempre meno precise all’aumentare della distanza stessa.

Le distanze delle stelle più prossime si possono conoscere per mezzo del metodo della parallasse,che consiste nel misurare l’apparente moto della stella nel cielo dovuto al moto orbitale della Terra attorno al Sole. Questa tecnica trova però un limite nella difficoltà di misurare angoli molto piccoli e cioè nella risoluzione angolare ottenibile dagli strumenti. A tal fine, il satellite Ipparco potrà in futuro fornire le misure più attendibili di parallasse per circa 100.000 stelle. Attualmente la parallasse fornisce le distanze delle stelle entro alcune decine di parsec (circa 50 anni luce) dal Sole per cui tale metodo non può avere rilevanza nel caso delle galassie.

Gli indicatori principali di distanza fanno uso di stelle variabili periodiche (le cefeidi e le RR Lyrae) e di due tipi di stelle in esplosione ( novae e supernovae). In particolare, osservando le variabili cefeidi con telescopi a terra si è riusciti a stabilire con precisione la distanza di alcune galassie fino al gruppo della galassia M81, che si trova a una distanza di circa 10 milioni di anni luce. Impiegando la stessa tecnica e servendosi del Telescopio Spaziale Hubble, si riuscirà forse ad arrivare fino all’ammasso (di galassie) della Vergine, distante circa 50 milioni di anni luce.

Una delle tecniche più promettenti per la misurazione di grandi distanze si basa su una correlazione tra la luminosità di una galassia e la sua velocità di rotazione. Le galassie molto luminose hanno di norma massa maggiore di quelle meno brillanti e quindi ruotano più lentamente. Misurando la velocità di rotazione in base all’ampiezza della riga di 21 cm emessa dall’idrogeno neutro, si può risalire alla luminosità e quindi valutarne la distanza fino a circa 300 milioni di anni luce.

Un’altra tecnica promettente si basa sulla massima luminosità assoluta delle esplosioni di supernova (di tipo Ia). Secondo i modelli teorici la massima luminosità di queste supernovae dovrebbe essere costante. In linea di principio queste esplosioni sarebbero rilevabili fino a distanza pari a circa metà del raggio dell’universo visibile (10 miliardi di anni luce) ma questa tecnica è comunque ancora molto imprecisa in quanto la calibrazione della scala si basa per ora su una sola determinazione.

D.07. Di che cosa è fatta la “materia oscura”?

Va detto subito che non sappiamo se la “materia oscura” esista realmente e comunque, nel caso esista, di che cosa sia fatta. Quanto segue sono solo delle ipotesi sulla massa che si ritiene necessaria per poter spiegare le velocità di rotazione delle galassie.

Difatti le misure sulle velocità di rotazione delle nubi di gas alla periferia delle galassie evidenziano una costanza (o addirittura un aumento) di questa velocità. Ciò va contro le aspettative in quanto si riteneva che le parti periferiche di una galassia si dovessero comportare come i pianeti del sistema solare per i quali la velocità diminuisce con una legge ben nota all’aumentare della distanza dal Sole. La più immediata interpretazione di ciò è che la massa delle galassie sia maggiore di quella che appare dallo studio della luce emessa dalle stelle che le compongono ossia, che le masse effettive debbano essere maggiori di quelle finora osservate.

Le proposte per colmare questa mancanza suggeriscono la presenza nell’alone delle galassie di un gran numero di stelle poco o nulla luminose (nane brune) oppure a un'ampia varietà di buchi neri o, ancora, di altri oggetti intrinsecamente non luminosi, tipo pianeti come Giove. Altri propongono che nelle galassie siano presenti grandi quantità di polveri non ancora rilevate. Infine vi sono le proposte che ipotizzano la presenza di particelle elementari, residui del Big Bang iniziale e mai rilevate, o che assegnano ad una di queste, il neutrino, una massa diversa dallo zero.

D.08. Tutte le stelle devono appartenere ad una galassia?

Non necessariamente. Le galassie possono collidere una con l’altra e in questo processo alcune stelle possono essere strappate via e spinte dalle forze gravitazionali nello spazio intergalattico. Il Telescopio Spaziale Hubble ha rilevato alcune centinaia di tali stelle rimaste in tal modo “orfane”, dotate di una notevole luminosità e poste tra le galassie dell’ammasso della Vergine.

Benché quindi le stelle si formino per la maggior parte nelle zone ricche di materia come può essere una galassia, la loro storia dopo la formazione può portarle molto distante dalla galassia originaria.

D.09. Che cos’ è un buco nero ( black hole)?

Parlando delle fasi finali di una stella massiccia abbiamo accennato alla possibilità che questa concluda la propria esistenza diventando un buco nero. In questa lezione invece ci siamo accorti che nelle regioni più prossime al centro galattico vi è una così elevata concentrazione di massa che, ancora una volta, si è giunti ad ipotizzare l’esistenza di un buco nero galattico. Ma in che cosa consiste un buco nero?

Partiamo da un semplice deduzione della teoria gravitazionale di Newton: questa afferma che la velocità v da impartire ad un corpo posto sulla superficie di un oggetto celeste di raggio r e massa M , affinché questo corpo possa allontanarsi a grandissima distanza, è espressa dalla

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dove G è la costante di gravitazione universale ( G = 6 ,67 × 10 - 11 Nm2/kg2). Questa velocità è la cosiddetta velocità di fuga e costituisce il valore minimo per poter abbandonare l’attrazione gravitazionale del corpo celeste. Corpi che superano tale velocità possono quindi raggiungere un osservatore lontano. In particolare la luce, possedendo una velocità pari a c = 3 × 105 km/s potrà abbandonare tutti quei corpi con velocità di fuga inferiori.

La tabella seguente mette in evidenza nelle prime tre righe come, all’aumentare della massa del corpo celeste aumenti pure la velocità di fuga, ma come questa rimanga notevolmente inferiore al valore di c anche nel caso del Sole.

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Nella situazione ipotetica (a) siè invece considerato un oggetto con massa pari a quella del Sole: se questo, a seguito di qualche collasso gravitazionale, viene ad assumere un raggio di 3 km, per la medesima legge fisica, la velocità di fuga diventa uguale a quella della luce che, ricordiamo, è la massima velocità fisicamente raggiungibile. Pertanto da un tale oggetto un raggio di luce emesso radialmente sulla superficie, ricadrebbe su questa stessa superficie, nello stesso modo con cui un sasso lanciato verso l’alto ricade a terra. Questo raggio di luce non potrebbe quindi sfuggire e venir osservato a grande distanza. Abbiamo così “costruito” un buco nero di massa solare. Nel caso (b) la massa è pari a 1,4 masse solari (valore minimo che le teorie dell’evoluzione stellare impongono per la formazione di un buco nero) e il raggio di tale buco nero è diventato poco superiore ai 4 km: infine se la massa è di circa 10 masse solari (caso c) le dimensioni del raggio aumentano a 30 km. Da questi esempi appare evidente come un buco nero debba essere un oggetto dalle dimensioni ridottissime ma in grado di comprendere valori elevatissimi della massa.

I buchi neri sono, per il momento, oggetti interamente teorici, ipotetici. poiché però, a partire dalla teoria della gravitazione di Einstein, è plausibile attendersi che essi esistano, ci si può chiedere come sia possibile rilevare un buco nero.

Un modo, concettualmente molto semplice per avvertirne l’esistenza, è di misurare la sua massa osservando l’attrazione gravitazionale esercitata sui corpi più vicini. Poiché attorno ad un buco nero gli effetti gravitazionali sono gli unici esistenti, i corpi in prossimità del buco nero devono risentire delle medesime leggi che regolano il moto dei pianeti attorno al Sole: quindi un'eventuale osservazione di un corpo orbitante attorno ad un altro di massa notevolissima e invisibile, potrebbe essere interpretata come un indice dell’esistenza di un tale oggetto. In aggiunta, attorno ad un buco nero, le moderne teorie prevedono un ampio ventaglio di effetti collaterali e non, dalla produzione di straordinarie quantità di energia dovuta alla caduta nel buco nero di masse altrettanto notevoli, alla presenza di onde gravitazionali, per giungere all’effetto di lente gravitazionale dovuto alla deflessione dei raggi di luce che ne sfiorino la superficie esterna.

D.10. Per osservare le galassie quale strumento è necessario?

Le galassie, assieme a tutti gli altri “oggetti deboli” quali ammassi globulari e nebulose, sono corpi celesti che appaiono all’osservatore (tranne in rari e fortunati casi) di bassa luminosità, spesso al limite della percezione visiva. Poiché si trovano generalmente a grandi distanze, vengono dagli astrofili spesso indicati come gli oggetti del “profondo cielo”, termine che deriva dall’inglese deep sky che sta ad indicare le regioni dello spazio più lontane dal nostro sistema solare.

Il problema chiave da risolvere nell’osservazione degli oggetti del profondo cielo consiste senza dubbio nel riuscire a percepirne la flebile luce. Due sono i parametri che vanno tenuti presente:

• la capacità di raccogliere luce dallo strumento ottico utilizzato e

• il grado di contrasto offerto dal fondo del cielo.

Il primo parametro dipende principalmente dal diametro dello strumento utilizzato, il secondo dalle condizioni di trasparenza e luminescenza del cielo. Quindi la risposta più ovvia consiste nell’utilizzare un telescopio dal diametro più grande possibile, sito in un luogo di alta montagna lontano da centri abitati e privo di illuminazione! è evidente però che sono pochi (e fortunati) quelli che possiedono uno strumento di almeno 40 cm di diametro, inserito in un osservatorio posto in una località di montagna. Ci si deve pertanto accontentare generalmente di strumenti più piccoli e in grado di essere trasportati in siti migliori di quelli nei quali normalmente si abita.

Poiché comunque, date le condizioni di scarsissima luminosità, è l’occhio stesso (e non lo strumento) a porre dei limiti ai particolari più fini percepibili, strumenti facilmente trasportabili come i telescopi newtoniani fino a 20 cm o i più compatti Schmidt-Cassegrain fino al diametro di 30 cm, possono ancora costituire una scelta consigliabile. Anche con piccoli strumenti comunque, quali il poco costoso e diffusissimo newtoniano di 114 mm di diametro, è possibile raggiungere visualmente centinaia di oggetti galattici e non.

Per gli oculari da installare sul telescopio conviene che siano di buona qualità e che permettano di osservare oggetti estesi e poco luminosi sotto cieli veramente bui. Per un newtoniano di 114 mm e 900 mm di lunghezza focale una buona scelta risulta l’oculare di 40 mm di lunghezza focale che permette un'osservazione a 22,5 ingrandimenti.

A centinaia di miliardi, ve n’erano,
tutte con i loro esseri immortali,
tutte recanti il loro carico di intelligenze,
con menti che fluttuavano liberamente nello spazio.
Eppure, una di esse era unica tra tutte,
in quanto era la Galassia Originale.

Una di esse, nel suo vago e distante passato,
aveva un tempo in cui era stata
l’unica Galassia popolata dall’uomo.


Isaac Asimov